Vita di Mons. Guérard des Lauriers

(Estratta da Sodalitium n° 18 di novembre-dicembre 1988)

di don Giuseppe Murro

Raymond Michel Louis Charles Guérard des Lauriers nacque a Suresnes vicino Parigi, il 25 ottobre 1898 alle dieci e tre quarti di sera, in rue des barrières, 27, da Paul Louis Guérard des Lauriers e Lucie Madeleine Lefebvre sua sposa. Fu battezzato in seguito nella parrocchia del Cuor Immacolato di Maria di Suresnes il 24 dicembre 1898: il suo padrino fu Charles Guérard des Lauriers e la madrina A. Lefebvre.

Nonostante che il primo nome postogli fosse Raymond, fu sempre chiamato Michel in famiglia.

Fin da piccolo mostrò una propensione particolare per gli studi, rivelando un’intelligenza superiore alla norma: “un genio” diremmo noi. E difatti già dalla scuola pubblica di Suresnes, ebbe dei “Biglietti di Soddisfazione”: nel 1908 per geografia, nel 1909 per l’applicazione “eccellente”, nel 1910 “per il suo lavoro, la sua cura e la sua condotta”.

Ricevette un’educazione cristiana in famiglia: sua madre era piena di fede e di devozione: lui stesso dirà che era una santa. Michel dovette fare una Prima Comunione molto bene, perché sarà ad essa che la madre attribuirà la grazia della vocazione. Fu cresimato il 25 aprile 1910 sempre nella Parrocchia del Cuore Immacolato.

Dopo la prova dolorosa per tutta la famiglia della perdita del padre nel 1913, Michel s’iscrisse al Collegio Chaptal. Nel novembre 1915 fu ammesso come postulante nel Terz’Ordine dei Maristi, che aveva come esercizio di pietà quotidiano la meditazione; dopo il noviziato, fece la professione il 26 marzo 1917. È in questo periodo che Michel cominciò a pensare alla vocazione. Intanto nello stesso marzo del 1917 dovette interrompere gli studi per la mobilitazione generale: fu incorporato al 113° Reggimento di Fanteria, frequentò poi il Centro d’istruzione di Saint-Cyr, dal 1° settembre 1918 al 1° febbraio 1919 durante il quale partecipò al corso di mitraglietta a Granville ricevendo la nota di “molto capace”. Questa è la descrizione che di Michel dette il comandante della VII Compagnia di Saint-Cyr, il Cap. Regard: “Spirito freddo e metodico, che si dà poco, ma che riflette molto, che conosce a fondo il suo regolamento, che manca ancora un po’ di sicurezza sul terreno; ma d’una educazione superiore, sarà un capo di sezione di prim’ordine ed un brillante ufficiale”. Ma i disegni della Provvidenza saranno ben altri per Michel.

Il dopoguerra

Lasciò l’esercito per seguire i corsi del Liceo Chaptal verso la fine del 1919; quindi fu ammesso alla scuola Politecnica nel 1920 che abbandonò per entrare nella Scuola Normale Superiore nel 1921. Nel 1924 ottenne l’aggregazione in matematica, in seguito ricevette delle borse di studio a Parigi e a Roma, dove studiò presso il prof. Levi-Civita (1925/26) e frequentò l’Accademia dei Lincei.

Dobbiamo qui dare particolare rilievo alla buona influenza che diede a Michel l’Abbé G. Massenet, Vicario della Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria. Sacerdote di gran zelo e di pietà, era considerato da tutti come un nuovo Curato d’Ars. Molto umile, rifiutò categoricamente tutte le volte che gli si propose una promozione, e terminò santamente i suoi giorni come Vicario onorario di Suresnes. L’Abbé Massenet conobbe a fondo Michel, e rimase sempre in corrispondenza con lui durante il servizio militare, il collegio, la permanenza in Italia: in tal maniera potè consigliarlo saggiamente sul suo avvenire sia per la vocazione sia per risolvere le difficoltà che si frapponevano. La sua gioia non la nasconderà quando Michel prese la risoluzione e in seguito, prima di partire gli darà gli ultimi consigli: “bisogna quasi continuamente separarsi dagli affetti che le circostanze ci apportano. Capisco il tuo dispiacere di lasciare i luoghi che ti sono cari per i ricordi che ti richiamano. Non si potrà forse dire a questo proposito la parola di S. Paolo: “quotidie morior” (muoio tutti i giorni). In una lezione del Breviario, uno dei santi Padri ci dice che la vita non è altro che un morire prolungato. È vero per il cuore… e ciò che vi è di meraviglioso è quello che tu mi dici: malgrado tutti i sacrifici che devi fare al più fondo dell’anima tu possiedi la gioia e tu non scambierai il tuo posto con un altro! Ecco cosa fa Gesù per quelli che si danno interamente a Lui: da una mano Egli prende ciò a cui tengono di più e dall’altra Egli rende loro mille volte di più che hanno dato. Tu sarai così sempre più durante il tuo noviziato …” (lettera del 29 luglio 1926).

La vocazione

La madre di Michel, Lucie Madeleine Lefebvre, viveva della fede. Venuta due volte in Italia a trovare Michel, visitò le basiliche, le chiese, le catacombe, partecipando alle cerimonie religiose che si svolgevano. Durante il suo secondo viaggio a Roma, nell’aprile del 1926, seppe della vocazione del figlio.

È lei stessa che lo racconta nel suo diario di viaggio, alla data del primo aprile, Giovedì Santo: “Michel mi annuncia la grande decisione … davanti l’immagine di S. Tommaso d’Aquino … entrerà dai domenicani. Dio sia lodato! che tutta la sua volontà si faccia e che Egli mi invii calma e coraggio”.

Due giorni dopo, dopo aver partecipato all’Officio del Sabato Santo, scriverà: “Officio a San Gioacchino. Comunione ai piedi del Salvatore resuscitato, malgrado le terribili separazioni che spaventano la mia debolezza, tutto canta in me il ringraziamento, la confidenza, la pace, la lode a Dio così buono e misericordioso che può in un istante cambiare il volto di tutte le cose. Ordinazione a San Giovanni in Laterano: oh! Il meraviglioso e consolante spettacolo!!”

Ritornata a Suresnes, sabato 17 aprile, il giorno stesso si recherà in chiesa: “Vado senza tardare ai piedi della Vergine di Suresnes a ringraziarla d’aver conservato il suo piccolo caro da tutte le insidie tese sulla sua strada, il bambino che Lei aveva segnato il giorno della sua Prima Comunione poteva abbandonarlo! no, Voi lo proteggerete, non è vero? come la migliore delle madri. Ch’egli faccia l’opera di Dio e lavori per la sua gloria”.

Michel era stato fino ad allora un giovane esemplare non solo per gli studi, ma anche per la vita morale: era serio, pio, si sforzava di praticare la perfezione evangelica: “non andavo mai a teatro, agli spettacoli, erano per me estranei … ” racconterà in seguito. Andava tutte le settimane a vedere il P. Garrigou-Lagrange e sentiva un’affinità verso i domenicani.

Ma cosa sarà a decidere Michel per la vocazione, e nell’ordine di S. Domenico? Una sera era rimasto al convento dell’Angelicum al canto di compieta: e allora, nel guardare la stella che è sul quadro di S. Domenico e poi l’immagine di S. Pietro martire, ebbe “una specie di visione. In una gioia immensa di aver trovato … che il buon Dio mi scegliesse per appartenere all’Ordine della verità. È il completamento di tutta la mia giovinezza, avevo 28 anni” – e, spiegherà ancora – “fu una specie d’intuizione. Le stesse immagini che sono belle abitualmente, divenivano per me una specie di potente proiezione del Cielo. Ho visto lo splendore della Verità, lo splendore della Verità Divina”.

Il seminarista

Michel entrò al noviziato di Amiens nel settembre del 1926 all’età di 28 anni, prese l’abito religioso il 23 dello stesso mese col nome di fr. Luigi Bertrando. Fece la professione religiosa il 23 settembre del 1927.

A causa delle leggi anticlericali dei primi del Novecento, in Francia gli Ordini furono costretti ad emigrare, e così i novizi dovevano seguire i loro studi all’estero: i domenicani avevano il loro seminario del Saulchoir a Kain in Belgio presso la frontiera francese. Il direttore del seminario era il P. Héris, autore di un importante commento alla Somma Teologica di S. Tommaso. Gli studi non gli facevano dimenticare il desiderio della conversione delle anime: il 15 ottobre del 1927 si iscrisse all’Arciconfraternita di preghiere per la conversione d’Israele e il 3 febbraio del 1928 a quella per il ritorno dei popoli del Nord Europa alla Fede.

Al seminario i suoi confratelli avevano una stima verso di lui sia perché era il più anziano sia per gli studi che aveva fatto e sia … per il suo buon umore che lo rendeva simpatico. E già da allora era conosciuto il suo interesse per le cose speculative e l’incuria per le cose materiali.

Il 6 e 7 ottobre ricevette la Tonsura ed i primi 4 Ordini Minori da Mons. RASNEUR Vescovo di Tournai, il suddiaconato da Mons. DRAPIEZ il 24 settembre 1930; il diaconato, il 21 dicembre 1930, e il sacerdozio, il 29 luglio 1931 da Mons. Rasneur nella Chiesa del Convento del Saulchoir; celebrò la Prima Santa Messa nella sua città natale, a Suresnes.

Il professore

Dopo l’ordinazione, i suoi Superiori decisero di fargli continuare gli studi perché potesse poi insegnare. Nell’estate del 1932 la facoltà di Lille chiese all’Ordine di S. Domenico un insegnante di Calcolo differenziale ed integrale, dato che la cattedra era diventata libera per la malattia del titolare. Il Provinciale, P. Padé, propose allora fr. Luigi Bertrando. il quale doveva ancora terminare gli studi. Allora il nostro, prevedendo la difficoltà oggettiva di seguire i corsi di Teologia al Saulchoir e dare corsi a Lille, scrisse al P. Provinciale dal quale dipendeva, che gli rispose: è il P. Héris che la invia; e non io. Quando fr. Luigi Bertrado ne parlò al P. Héris ebbe come risposta: è il P. Provinciale, non sono io! Così al fr. Luigi B. non restò che accettare, senza sapere da chi gli fosse venuto l’ordine.

Il 23 marzo del 1933 ottenne il titolo di Lettore che nell’Ordine di S. Domenico equivale ad una laurea. Dal 1933 fu professore di filosofia al Saulchoir insegnando epistemologia e filosofia delle scienze.

In questi anni collaborava alla Rivista di Scienze Filosofiche e Teologiche e al Bollettino Tomista.

Il 26 novembre del 1934 ricevette il titolo di Maestro delle Conferenze della Facoltà di Lille.

E chi lo vide, non potrà non aver notato che era l’unico professore della facoltà che, prima dei corsi, si inginocchiava per recitare la preghiera “Veni Sancte Spiritus”.

Nel 1939, a causa del suo stato di affaticamento diede le dimissioni da Lille, con dispiacere del Rettore che avrebbe desiderato tenerlo!

Tolte le leggi anticlericali in Francia, gli Ordini poterono rientrare: i domenicani di Kain ottennero una casa a Éiolles, vicino a Parigi che fu ugualmente chiamala “Saulchoir”. Il “trasloco” avvenne in due tappe, prima i “filosofi” nel 1938 e poi i “teologi” nel 1939: è da credere che fr. Luigi Bertrando venne con i primi; comunque ebbe l’assegnazione definitiva nel 1939.

Scoppiata nuovamente la guerra, in seguito alla mobilitazione generale, venne richiamato all’attività il 9 settembre del 1939 con il grado di Luogotenente di riserva: fu assegnato alla sezione tecnica di artiglieria ove le sue conoscenze erano utilizzate per fabbricare le tavole per il tiro. Dopo un soggiorno a Tarbes, venne demobilizzato il 10 settembre del 1940.

In questi anni fr. Luigi Bertrando cominciò a pensare ad una vocazione certosina. A questo scopo scrisse a diversi conventi, tra cui la Grande Certosa, e solo qualche anno dopo fu ammesso a fare una prova, che però non dette esito. Mons. Guérard ebbe sempre un grande silenzio interiore, e forse fu questo che gli diede l’idea di tal vocazione; ma anche in ciò, non lasciò mai di voler seguire la Volontà del Signore, e di cercarla anche attraverso gli avvenimenti della vita quotidiana.

Fr. Luigi Bertrando, nonostante le occupazioni della vita religiosa, riuscì ancora a dedicarsi agli studi di matematica. Nel 1930 fu ammesso come membro della Società Matematica di Francia; il 3 aprile del 1941 sostenne una tesi alla Sorbona sui “sistemi differenziali di second’ordine che ammettono un gruppo di Lie”, tesi sostenuta sotto il patronato del prof. Elia CARTAN, che gli valse il dottorato in scienze matematiche.

Negli anni del dopoguerra, Mons Guérard ebbe la produzione feconda di opere: “Il mistero del numero di Dio” nel 1940; “Lo statuto induttivo della Teologia” nel 1942; “La teologia istorica e lo sviluppo della Teologia” nel 1946; il suo capolavoro di questi anni, “Dimensioni della Fede” del 1950, fu un prolungamento dell’analisi epistemologica al campo della conoscenza di Dio, svolta con rigore e lucidità teologica; la “Teologia di S. Tommaso e la grazia attuale”, nel 1945; “L’Immacolata Concezione, chiave dei privilegi di Maria”, nel 1955; “Il fenomeno umano del P. Teilhard de Chardin”, nel 1954.

Ormai era risaputo dappertutto che i suoi corsi erano molto buoni, ma anche mollo difficili, tanto che solo poche persone riuscirono a seguirli!

Ciò gli valse che i suoi confratelli lo prendevano in giro simpaticamente, e parafrasando il “je pense donc je suis”, io penso e dunque io sono di Cartesio, gli attribuivano il “je pense donc tu suis”, io penso e dunque tu segui.

Il religioso

Pieno di carità verso tutti, sia nei rapporti personali, sia nelle circostanze particolari, come quando, saputo di una povera religiosa che si alzava alle 5,15 per fare la meditazione al freddo, volle regalarle il suo mantello: era tutto quello che aveva in quel momento.

Anche se molto “intellettuale”, non si deve credere che fosse demunito nelle cose pratiche, anzi, amava molto il “bricolage”, aggiustare qualcosa di rotto, quasi tutti i giorni faceva un po’ di giardino, non esitava a dare una mano ai lavori più umili. La sua scienza, i suoi incarichi, l’episcopato non l’avevano mutato da ciò che è sempre stato, un frate domenicano.

Amava viaggiare in treno, carico della valigia-cappella, dei suoi libri per studiare in treno, e qualche effetto personale: e se la persona che doveva venirlo a prendere aveva un impedimento, lui senza fare una piega, con tutti i suoi bagagli si metteva in cammino.

Era conosciuta da tutti la sua capacità di restare a lungo immobile inginocchiato a terra assorto nell’orazione, senza muoversi; così come la povertà in cui viveva, e accontentandosi di poche cose.

Era tenuto ad una dieta molto stretta a causa dei disturbi di stomaco che aveva fin da giovane; già l’Abbé Massenet gli chiedeva di far riguardo alla sua salute. Quando si era ritirato dal Saulchoir, aveva chiesto alle persone che vivevano con lui di dedicarsi alla cucina – preparazione e pranzo compresi – solo per un’ora per ogni pasto, perché tale occupazione non merita di più! In seguito mitigò questa regola, che per quanto stretta non aveva scoraggiato le cuoche, le quali si erano procurate delle pentole a pressione per fare alla svelta! A chi poteva parlargli un po’, non poteva sfuggire quell’humour che aveva sempre con sé col quale riusciva a colorire anche le cose più gravi, di qualche battuta che faceva ridere soprattutto perché era vera.

Non dobbiamo omettere la sua attività nella vita spirituale: i numerosi ritiri che predicò sia a conventi di religiose, sia a gruppi di Terziarie domenicane, sia nelle parrocchie. Molti dei suoi ritiri furono stampati. Le principali opere spirituali: “Virgo fidelis” 1950; “Magnificat” 1950; “La Carità della Verità” 1951; “La Via Regale”.

Nominato il 7 aprile del 1950 confessore aggiunto delle suore Domenicane del monastero de la Croix a Étiolles, continuò ad insegnare al Saulchoir, partecipando a diversi convegni, come il Congresso Tomista a Roma nel 1955, in cui parlò della metafisica e della metascienza; il Convegno di Gallarate nel 1959.

Lavori e controversie

Negli anni ’50 Mons. Guérard partecipò alle controversie contro il neomodernismo insorgente, che genererà in seguito il Concilio Vaticano II. In numerosi scritti sulla Teologia della grazia, Monsignore distinguerà bene l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale contro le tendenze della “nuova teologia” e di de Lubac. Sulla cosmologia evoluzionista, sarà uno dei principali polemisti contro Theilhard de Chardin, (cf. Sommavilla: “La Compagnia di Gesù” Rizzoli 1985). Queste polemiche provocarono la condanna del neo-modernismo da parte di Pio XII con l’Enciclica Humani generis (1950).

Mons. Guérard denunciò il P. Congar al S. Uffizio e si accorse che il Prefetto, il Card. Ottaviani, era ignaro delle idee di Congar; ciò gli procurò del malumore da parte di molti dei suoi confratelli anche al Saulchoir.

Padre Guérard des Lauriers era anche un eminente mariologo.

A questo titolo partecipò ai lavori per la proclamazione del dogma dell’Assunzione (1950). In questa occasione sviluppò la dottrina del magistero ordinario universale che provava l’infallibilità del futuro dogma.

Ed inoltre fu uno dei principali teologi che secondò l’intenzione di Pio XII di completare i dogmi mariani con la definizione della Mediazione e Corredenzione di Maria. Ma gli elementi progressisti che non erano riusciti ad evitare la proclamazione dell’Assunta, otterranno il rinvio di queste due definizioni. La proclamazione di Maria Regina (1954) che nelle intenzioni di Pio XII era il preludio delle due successive, segnò invece una battuta d’arresto, di cui P. Guérard fu subito ben cosciente.

Il ruolo svolto da P. Guérard negli anni 50 ci fa capire perché Pio XII gli propose la porpora cardinalizia, ma fonti ben informate affermando che De Gaulle mise il suo veto.

Nel 1961 Mons. Piolanti invitò fr. Luigi Bertrando a venire a Roma per insegnare all’Università del Laterano: e così il nostro per circa dieci anni doveva assentarsi per dei mesi da Étiolles per la permanenza a Roma, alloggiando all’Angelicum, dove tornò a frequentare il P. Garrigou-Lagrange fin quando quest’ultimo si ammalò.

Il breve esame critico

Intanto gli avvenimenti precipitavano: la riforma liturgica si stava ultimando per innovare la Santa Messa. Racconta Mons. Guérard: «Roma, Giovedì Santo del 3 aprile 1969. Il cosiddetto “novus ordo missae” appare. Ci sono due cori quello di Satana, quello di Gesù. Appartenevo per grazia, al secondo. Ma bisognava agire. Grazie all’aiuto di Vittoria Cristina Guerrini e della sua amica Emilia Pediconi, era possibile avere l’appoggio di alcuni cardinali, ai quali bisognava presentare un testo; per prepararlo furono interpellati numerosi ecclesiastici, pochi risposero ed il loro intervento saltuario alle riunioni fu quasi inutile, salvo un liturgista molto distinto, coraggioso, che pubblicò degli articoli su giornali romani. Mons. Lefebvre ci incoraggiava, un po’ da lontano; e ci gonfiò pure di speranze: “Avremo seicento Vescovi firmatari!”. Purtroppo, non ci fu neanche lui».

Mons. Guérard redasse così il Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae tra l’aprile ed il maggio del 69: soprattutto la notte, perché questo incarico imprevisto si aggiungeva a delle giornate già abbastanza piene.

Nell’occasione della preparazione del Breve Esame Critico, a Roma fu organizzala una S. Messa sulla tomba di S. Pio V nel giorno della sua festa, il 5 maggio, celebrata da Mons. Lefebvre, il quale – con meraviglia dei presenti – adottò le mutilazioni apportate da Paolo VI (mutilazioni abbastanza gravi, ben ché non fosse ancora la Nuova Messa). Quando, all’uscita, gli fu domandato, con rispetto e tristezza allo stesso tempo, il motivo di ciò, rispose: “Se si vedesse che Mons. Lefebvre celebra la Messa tradizionale, si rischierebbe di scandalizzare”! Commenterà in seguito il P. Guérard: “Se Mons. Lefebvre non ha celebrato la detta nuova messa, tuttavia ha compiuto o omesso esteriormente i gesti che lo facevano pensare, cosa che non sono stato il solo ad osservare … Fu duplice Mons. Lefebvre il 5 maggio 1969. Allorché, considerato l’anima di un minuscolo gruppo “amico” che lavora giorno e notte per salvare la Messa contro la messa, e manifestando a tal gruppo incoraggiamento e simpatia, Mons. Lefebvre infliggeva a questo stesso gruppo la sconfessione pubblica con una sottomissione incondizionata all’”autorità” che bisogna contrastare”.

La redazione del Breve Esame costò al P. Guérard la cattedra del Laterano da dove fu congedato nel giugno del 70 «allo stesso tempo che il rettore, Mons. Piolanti, ed una quindicina di professori tutti giudicati indesiderabili».

Nel frattempo al Convento di Étiolles, dove il Padre conservava la residenza, le cose non andavano meglio: alcuni studenti del seminario parteciparono alle rivolte del 68 a Parigi, sul tetto del convento fu addirittura issata la bandiera nera degli anarchici. I Superiori, pur prendendo delle misure, non erano padroni della situazione.

Extra-Conventum

La decisione dei domenicani di vendere il Saulchoir fu per Mons. Guérard causa di dolore. Al Saulchoir, aveva una vita piuttosto appartata nella sua cameretta in cima all’edificio, al granaio come dicevano scherzando i suoi confratelli, e là aveva scritto sul muro della sua cella “Beata Trinitas stat dum volvitur orbis”; la Beata Trinità resta mentre il mondo muta. è un po’ il sunto di tutta la sua vita interiore, in cui ha cercato di penetrare nel mistero della Santa Trinità.

I domenicani non ebbero neanche la cura di trasportare tutti i mobili sacri, e fu grazie all’intervento dello stesso fr. Luigi Bertrando che molti furono salvati dalla distruzione o dall’uso profano. In seguito a quest’ultimo episodio Mons. Guérard domandò ed ottenne dai Superiori di vivere “extra conventum”: ormai la Fede gli imponeva di separarsi fisicamente da quelle persone che – accettando le nuove riforme – erravano nella fede stessa. In quel momento pensava di ritirarsi in un luogo quasi isolato, per dedicarsi alla preghiera ed al completamento dei suoi studi. Ma se l’uomo propone, è Dio che dispone.

Monsignore si dedicò a dare ritiri, tenere conferenze specialmente sulla situazione contemporanea, servire dei centri di Messa tradizionali.

In quei tempi Mons. Lefebvre apriva il seminario d’Écône ed aveva bisogno di professori per assicurare l’insegnamento e perciò chiese al P. Guérard di tenere dei corsi. Fu così che incominciò la cooperazione del Padre con la Fraternità S. Pio X, ma più particolarmente con Mons. Lefebvre, al quale cercò di fare del bene, di illuminare sui principi per cercare la verità e la coerenza nell’azione “tradizionalista”.

In questi anni P. Guérard cercò la spiegazione teologica che rende giusto e lecito il rifiuto delle nuove riforme: elaborò dunque la Tesi per cui, il “Papa” a partire almeno dal 7/12/1965, apertamente e oggettivamente, non professa più esteriormente la Fede e per cui perde automaticamente l’Autorità sulla Chiesa militante, perché non dirige più le sue azioni al bene della Chiesa e la salvezza delle anime. Dato che la sua elezione sembra essere valida e che nessuno finora gli ha intimato ufficialmente di ritrattare la sua eresia, resta che è “papa” solo “materialmente” ma non formalmente (Sodalitium n°13, pagg. 18-23) e dunque non deve essere citato al Canone del la S. Messa, nell’offerta della Vittima a Dio.

Venutesi a creare delle divisioni a Écône su tali argomenti sia tra i professori che tra gli allievi, Mons. Lefebvre decise di “purgare” il corpo professorale. Quindi il P. Guérard venne congedato nell’autunno del 1977, dopo aver predicato ai seminaristi il ritiro d’inizio dell’anno, nel quale aveva detto tra l’altro che bisogna obbedire al “papa” sicut cadaveri, come ad un cadavere!

I rapporti con Mons. Lefebvre rimasero buoni. Nel frattempo P. Guérard dava l’abito di Terziari domenicani ad alcuni, come era in suo potere di fare; ma non diede “la Misericordia dell’Ordine”, cioè non li fece entrare nell’Ordine vero e proprio dato che non ne aveva i poteri: “so di non averne il diritto e l’ho dichiarato esplicitamente” scrisse qualche tempo dopo. Perciò quando uno di questi Terziari diede l’abito ad altri, Monsignore gli scrisse per dirgli che non ne avevano il diritto e dunque non riconosceva quei giovani come fratelli del Terz’Ordine.

P. Guérard e Mons. Lefebvre

In ringraziamento del bene che fece loro, fu abbandonato da tutti. Citiamo come esempio la lettera di Mons. Lefebvre in cui gli spiegava perché non voleva che ritornasse ad Écône, neanche per visitare un gruppo di giovani a cui aveva dato l’abito e che aveva mandato per gli studi al seminario (beata semplicità e confidenza!) senza lontanamente supporre che a Écône avrebbero fatto di tutto per distaccarli da lui: “Reverendo Padre … l’unico motivo che mi causa qualche apprensione è l’assoluto delle vostre affermazioni a proposito del Papa ed eventualmente del N.O.M.

Il mio pensiero è meno affermativo. Ho ammesso e ammetto ancora dei dubbi sul Papa Paolo VI. Mi domando infatti come un Papa può contribuire fino a questo punto all’autodemolizione della Chiesa, ma questo mi permette di affermare che non è Papa? Non oso dirlo in maniera assoluta e definitiva … Se lei ha l’evidenza del decadimento giuridico del Papa Paolo VI, comprendo la sua logica susseguente, ma personalmente ho un dubbio serio, e non un evidenza assoluta … Nell’attitudine pratica, la mia condotta si fonda non sull’inesistenza del Papa, ma sulla difesa della fede cattolica … Lei invece crede in coscienza di dover partire da questo principio che mette l’agitazione e causa violente divisioni, cosa che tendo di evitare … Ecco in poche parole il mio pensiero, che non è molto lontano dal vostro, ma che nella condotta tiene maggiormente conto delle realtà sia tradizionaliste che progressiste …”

La risposta del P. Guérard fu chiara e coerente (7/2/79): «In ciò che riguarda il Papa Paolo VI, non ho l’evidenza del decadimento giuridico, ma ho e c’è, evidenza metafisica e teologale che se la più alta Autorità della Chiesa riprende una dottrina tradizionale già definita, la detta Autorità gode ispo facto dell’assistenza immediata dello Spirito Santo.

E se detta Autorità fonda una dichiarazione espressamente sull’autorità della Scrittura, allora ipso facto deve dichiarare infallibilmente la verità. Se non è evidente abbia la bontà di mostrarmi dov’è l’errore. E se è evidente, allora l'”autorità” che ha affermato un errore era di fatto ontologicamente inatta ad esercitare l’Autorità. Non ho mai detto che vi sia stato decadimento giuridico dell’Autorità. Paolo VI è rimasto papa materialiter. Non lo era più (almeno dal 7/12/65) formaliter … è impossibile che una profanazione sacrilega della verità si sia intromessa nella Chiesa che è santa.

Dichiarare esplicitamente che il Vaticano II, in quanto Concilio, non è “della Chiesa”, non esiste in quanto Concilio, è una condizione sine qua non per ristabilire l’ordine nella Chiesa. Può esserci un’interpretazione tradizionale delle verità contenute nel Vaticano II.

Ma non c’è nessuna interpretazione possibile del Vaticano II in quanto Concilio. Poiché, precisissimamente sotto questo punto di vista, Valicano II opera una rottura con la Tradizione. Lei precisa che la sua “condotta è fondata non sull’inesistenza del papa ma sulla fede cattolica” … Ma non vedo come, nella Chiesa cattolica romana, si possa testimoniare in favore della Fede, senza situarsi con esattezza in rapporto di un Magistero così come è (o sembra essere) attualmente. L’esistenza di un Magistero infallibile, e che afferma esso stesso, di essere infallibile, questa esistenza è una condizione sina qua non per esercitare la Fede, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista pratico … Lei aggiunge, Monsignore che “tiene conto, più di me, delle realtà sia tradizionaliste che progressiste”. Ma infine, conviene tener conto del progressismo, anche se è una realtà? E verso quali testimoni si va? se non verso quelli “che non fanno accezione di persone e che insegnano la via di Dio secondo la verità” (Mc 12, 14). È “la verità che ci libera” (Gv. 8, 32); e essa sola. Non si può risolvere una questione che concerne la verità con la “coesistenza pacifica” in una “pseudo carità”, o con il silenzio che impone l’autorità. Questo è il modo di agire della chiesa in sconfitta, modo di agire che suscita il “padre della menzogna”. “Benedetto colui che viene nel nome del Signore …; se essi tacciono, le pietre grideranno” (Lc. 19, 40). Benedetta sia la verità, non bisogna tacerla, bisogna gridarla. L’inesistenza (relativa) del Papa (formaliler) non è, secondo me, un “principio”.

È l’ineluttabile conseguenza dei fatti osservati; ed è, sia per testimoniare la Fede che per amministrare nella Chiesa i sacramenti della Fede, un indispensabile presupposto. Nella carità della verità voglia gradire …».

Tale lettera rimarrà senza risposta.

Questa ricerca della verità che ripudiava ogni falsa carità, sentimentale o interessata, l’adesione al vero oggettivo e razionale, sarà causa del rigetto da parte di molti sia della Tesi del Padre sia pure della sua persona. L’Abbé Coache avrà la … delicatezza di far pervenire al P. Guérard il 29/1/79 l’invito ad una riunione fissata il 22/1, cinque giorni prima! Criticato da tutti per la sua posizione, da nessuno ottenne MAI una risposta logica e precisa alla Tesi da lui esposta.

Chi rifiuta la grazia si infossa di più nel peccato; così chi rifiuta la luce della verità sprofonda ancor più nelle tenebre dell’errore. E difatti in quel periodo Mons. Lefebvre firmò il “Comunicato alle Associazioni S. Pio V” redatto a Flavigny insieme ad altri “capofila” del tradizionalismo in cui si affermava l’attaccamento al successore di Pietro, malgrado i gravi rimproveri che si è in diritto di fargli (!) e si domandava ai fedeli di raggrupparsi intorno a dei “preti fedeli attaccati a Roma ed al Successore di Pietro”. «È eretico, contrario all’istinto della Fede – commentava il P. Guérard – aberrante rispetto a tutta la Tradizione il pretendere che si possa, a priori che si debba, “restare attaccati al detto Successore di Pietro” che proferisce abitualmente l’eresia, favorisce in atto tutto ciò che potrebbe distruggere la Chiesa, rifiuta di fatto di esercitare come dovrebbe il carisma dell’infallibililà … per condannare ed estirpare le gravissime alterazioni della Messa e del Magistero».

E sempre in questo periodo Mons. Lefebvre scrisse la famosa lettera N. 16 agli Amici e Benefattori, in cui metteva praticamente sullo stesso livello la nuova “Messa” e la vera Messa, che suscitò la reazione di tanti che avevano la Fede e causò dunque la lettera del P. Guérard “Monsignore, non vogliamo questa pace”, che fece scalpore.

Le reazioni a questa lettera aperta furono numerose: la separazione tra il P. Guérard e il “mondo” tradizionalista divenne più marcata, risposte dottrinali – come di consueto – non ve ne furono, ma solo attacchi ingiuriosi.

Durante questo stesso anno il P. Guérard iniziò, per la prima volta, la pubblicazione sulla Tesi della Sede formalmente vacante sui “Cahiers di Cassiciacum”: anche allora nessuna risposta seria, ma neanche molti ad avere il coraggio di abbracciare la verità, quando costa sacrifici ed umiliazioni.

La consacrazione

Dopo pressanti inviti, il 7 maggio 1981 Mons. Guérard accettò di essere consacrato Vescovo da Mons. NGO DINH THUC, Arcivescovo di Huc, nel Vietnam; “consacrazione valida, lecita e legale”, per la cui spiegazione rinviamo i lettori a Sodalitium n°13 pagg 24-26; n°16 pag. 31.

Cosa fu che spinse Mons. Guérard ad accettare, dopo circa un anno di riflessione? La stessa “voce” che lo mosse alla vocazione: lui stesso racconterà: «la percezione che ebbi quando entrai nell’Ordine della verità è stata per me una risonanza della stessa energia, della stessa tonalità della intuizione che ho avuto di dover accettare una specie di voce interiore, un impulsione interiore. Si è mossi fuori da sé, quando occorre. Si vede, si sente una certezza assoluta, una sorte di impressione a partire dal più profondo dell’anima. Allora la prima intuizione è stata: VERITAS.

E per l’episcopato è stata: HOC EST ENIM CORPUS MEUM. Ed allora ho capito: bisogna fare di tutto per salvare l’”Oblatio Munda”».

La consacrazione avvenne all’insaputa di tutti, e rimase tale per un po’ di tempo. Fu un errore? un’imprudenza? un’acquiescenza ad un consiglio eccessivamente prudente? Comunque sia, Monsignore ebbe il coraggio di ammettere di essersi sbagliato (e chi lo ha mai fatto negli ambienti tradizionalisti?). Ma molti o tutti profittarono di questo particolare accidentale, per condannare l’atto stesso della consacrazione (sono gli stessi in buona parte che oggi applaudono alle Consacrazioni di Mons. Lefebvre!): come non dover parlare di disonestà e di spirito liberale per queste persone? Dio giudicherà, ma gli atti compiuti sono stati già posti sulla bilancia e il Signore li ha già giudicati.

Pochi amici rimasero uniti a Monsignore: con l’episcopato, aveva veramente abbracciato tutta la Croce. L’abbandono delle persone sulle quali contava, l’incomprensione e la deformazione della Tesi di Cassiciacum, la chiusura di tanti davanti alla verità, fu per Mons. Guérard causa di grande tristezza simile a quella di Gesù nell’orto degli Olivi; veramente per lui in questi anni si possono applicare le parole di Isaia (63, 3): “Da solo ho calcato il frantoio, e tra la gente non vi è nessuno con me”.

Le calunnie

Quando qualcuno è rimasto solo, è facile calunniarlo, per dirigere su di lui il disprezzo altrui. Un esempio per tutti, ancora una volta, Mons. Lefebvre nel “Colloquio di Montreux” del 16 marzo 1983, pubblicato da “Marchons Droit” del giugno-settembre 83: «Il Padre Guérard des Lauriers ed il P. Barbara mi hanno scritto delle sciocchezze e degli insulti; non gli ho mai risposto. Io non ho mai insultato qualcuno dei miei confratelli che si è separato da me …». Due considerazioni: le argomentazioni di Mons. Guérard sono delle “sciocchezze”? chiamare “tradimento” le domande di compromesso con i modernisti, e “traditore” l’autore di ciò, lo considera un insulto? E la risposta era d’obbligo per Mons. Lefebvre, dato che assumeva un atteggiamento ambiguo nei confronti della Fede: se non l’ha data, il sospetto sulla sua Fede rimane. “Io non ho mai insultato …”; risponde Mons. Guérard: “Ma Mons. Lefebvre calunnia, cosa che è ben peggio” ed ecco la calunnia: «Il Padre Guérard des Lauriers è andato a Palmar di Troya per vedere se questo Papa poteva essere considerato come autentico. È lo scisma. Non spetta a noi fare un Papa. Ci si allontana dalla Pietra fondamentale, ci si allontana dalla Chiesa». È falso: Mons. Guérard non solo non è andato, ma non ha mai immaginato di prendere in considerazione la questione di Palmar, ha disapprovato che Mons. Thuc si fece circonvenire da costoro. Per di più ha sempre rifiutato la tendenza di certi Vescovi della “linea-Thuc” di arrogarsi un potere di giurisdizione ed eleggere così un papa, definendo tale posizione “sessionite creativista … che blandisce lo spirito d’avventura” (Sodalitium n°16 pag. 22 e 24).

Mons. Lefebvre, benché avvisato sulla falsità della sua dichiarazione, non ha mai ritrattato la calunnia, mai ha ammesso di essersi sbagliato. Chi è allora che utilizza “le sciocchezze e gli insulti” ed anche le menzogne e false testimonianze? Anche qui: Dio giudica, e gli atti posti li ha già giudicati.

L’apostolato di Mons. Guérard

Dal 1983 Mgr. Guérard si è dedicato ad approfondire la Tesi di Cassiciacum, precisando cosa fare. Ha messo in evidenza la necessità di poter avere dei Vescovi integralmente professanti la Fede cattolica e consacrati validamente, che possono continuare la “Missio” confidata da N.S. Gesù Cristo alla sua Chiesa. Ha anche specificato quali sono i poteri reali ed i limiti di questo Episcopato della Chiesa in stato di privazione del Papa.

Mgr Guérard non ha mai evitato la discussione: né ha rifiutato di rivedere tutta quanta la Tesi di fronte alle obiezioni poste, mostrando onestà e lealtà intellettuale, senza nessun legame a un partito preso e tantomeno alla “sua” Tesi, ma col solo desiderio di cercare la Verità ed esserne umile strumento.

“Mi pongo dal punto di vista dell’essere” diceva sovente quando esponeva il suo pensiero: questo realismo nelle speculazioni più elevate evidenzia la verità di ciò che affermava. E quando “scopriva” una verità l’amava e l’abbracciava totalmente: questa adesione era tale che non sopportava che il vero fosse contraddetto con pertinacia, ed era tale che sapeva discernere in chi sbagliava, l’errore dovuto ad ignoranza invincibile da quello dovuto ad ignoranza colpevole.

Pronto a parlare con tutti, conservava con chiunque la sua semplicità e la sua fermezza: “non bisogna diffidare” spesso diceva, ed è rimasto fedele a questo principio anche pagando di persona la confidenza in certi che non meritavano o che non hanno corrisposto al bene ricevuto. Questa apertura “confidente” e quasi innocente verso il prossimo, gli ha dato la possibilità di avvicinare tanti, di riconoscere anime che avevano la stessa Fede e di far riaccostare ai Sacramenti delle persone che se ne erano allontanate da tempo.

“La carità che viene da Dio non fa accezione di persone” scriveva; “niente ostentazione, niente ‘edificazione’, niente calcoli. Se una vita è vera, non può non irradiare”. “Se facciamo della verità la regola delle nostre parole e dei nostri pensieri, indurremo gli altri nella sincerità senza la quale non è possibile la vita con Dio”.

Sono sue affermazioni che ci mostrano la chiarezza della sua anima e la rettitudine delle sue intenzioni. Inoltre la confidenza verso le persone non gli ha mai impedito di saper ben riconoscere nei modernisti l’impossibilità pratica (benché non teorica) di potersi convertire alla Fede.

L’amore della verità e l’attaccamento per la Santa Chiesa, il desiderio di operare il bene per N.S.G.C., permise a Mons.Guérard di non “riposarsi” sugli allori ma di continuare la lotta “usque ad mortem”, fino alla fine della sua vita. La Tesi di Cassiciacum è il punto di partenza del suo agire; scriveva: “Quello che si pensa, realmente, della Tesi si manifesta in effetti nell’agire. Perché la TESI realmente affermata … comporta ineluttabilmente la seguente alternativa: A) o continuare la Missio, e dunque riconoscere che occorrono per questo (e soltanto per questo) dei Vescovi, i quali, nella situazione attuale, devono evidentemente essere consacrati senza che sia possibile riferirne alla Autorità; B) – o ammettere che la Missio deve almeno provvisoriamente cessare, poiché è impossibile che essa sia perfettamente quello che dovrebbe essere.

Ne segue che se allo stesso tempo, si rifiuta la consacrazione di Vescovi e si prosegue la Missio, allora qualunque cosa si dica e qualunque cosa si voglia, non si sostiene la Tesi realmente; cioè che in realtà si nega la Tesi”.

A chi negava tale alternativa, rispondeva: “o c’è la Missio o non c’è la Missio, per il principio di non contraddizione. La componente essenziale della Missio è la Messa, l’oblazione pura. Quali sono le componenti della Missio che possono durare senza Vescovi? La MISSIO, senza l’Autorità suprema in atto, richiede dei Vescovi”.

Per continuare dunque la Missio, Mons. Guérard volle ordinare sacerdoti e consacrare dei Vescovi: e difatti il 17 marzo del 1984 ordinò prete l’Abbé Hubert Petit, il 30 aprile dello stesso anno consacrò Mons. Storck, il 23 agosto 1986 consacrò Mons. McKenna e il 25 novembre 1987 Mons. Munari.

Prima di ogni consacrazione ha sempre specificato la necessità di agire senza Mandato Romano, ed il desiderio di essere sottomessi ad un vero Papa quando Dio lo darà alla sua Chiesa, facendo cessare lo stato di vacanza formale (Sodalitium n°16 pag. 4 e 6).

L’amore per la Chiesa e per l’Oblatio pura non lo fermava davanti a nessun sacrificio: nonostante l’età avanzata non esitava a fare migliaia di chilometri per predicare, assicurare la S. Messa, amministrare i Sacramenti, visitare delle persone nel bisogno, accettare anche vocazioni con l’incombenza di preparare e dare delle lezioni senza mai guardare a se stesso, né alla fatica, né alle crisi di fegato che sovente lo costringevano a restare a letto nella sofferenza.

Chiaroveggenza

Negli ultimi tempi ha visto realizzarsi le sue “previsioni” sugli avvenimenti che oggi viviamo. Innanzitutto la “caduta” del P. De Blignières, persona di cui conosceva le qualità ma di cui vedeva anche ciò che gli altri non vedevano: “sarà un uomo per le cose migliori o per le cose peggiori” aveva pronosticato tempo addietro. Nel 1982 scriveva a proposito di lui: “Non sono più sicuro di lui. Sembra troppo preoccupato di conservare un contatto (utile?) con tutti. Questo non è rassicurante”. Ma già dalla consacrazione episcopale, il P. De Blignières mostrò una veemenza tale contro questo atto, da dimostrare un’adesione non piena alla Tesi di Cassiciacum. Dio solo scruta le reni ed i cuori, e conosce le intenzioni più recondite: ma Mons Guérard ha tentato e sperato fino alla fine di ricondurre il P. De Blignières sulla via giusta, ricevendone anche il male in cambio del bene che gli faceva.

Per Mons. Lefebvre ugualmente possiamo dire oggi che, il modo in cui ha fatto le consacrazioni, è stato previsto da Mons. Guérard: «Se le suddette consacrazioni avranno luogo, pertanto, converrà non rallegrarsi prematuramente. Bisognerà esaminare se la questione del “mandato romano”, normalmente richiesto per ogni consacrazione episcopale, è stata chiaramente risolta … Delle Consacrazioni episcopali che sarebbero compiute secondo il rito tradizionale, ma … “una cum W” (W = Wojtyla), sarebbero valide; ma estranee alla sana dottrina, gravate da un sacrilegio perché ingiuriose per la Testimonianza della S.S. Fede, non si spiegherebbe che mediante l’astuzia di Satana». (Sodalitium n°16 pagg. 17 e 18).

La Tesi di Cassiciacum e le Consacrazioni

«La Tesi, e l’inferenza che la stabilisce (vacanza formale della Sede a causa dello scisma capitale di Wojtyla, non capace di porre ordini aventi forze esecutorie nella Chiesa, n.d.t.), devono essere CERTE, devono non solo giustificare ma imperare il comportamento pratico dei fedeli che, LUCIDI nel loro legame alla TRADIZIONE, rifiutano di riconoscere W … Inoltre questa inferenza deve essere AUTONOMA. Cioè la certezza richiesta per tal inferenza non può procedere, neanche implicitamente, da un giudizio la cui pseudo-certezza dipenderebbe dalla pseudo “autorità” che infierisce attualmente nella Chiesa militante, quella di W. Sarebbe in effetti contraddittorio (e dunque vano), ricorrere all’autorità dell’”autorità”, per provare … che non bisogna riconoscere l'”autorità”. Sarebbe contraddittorio presumere, in vista di confezionare la prova, l’infallibilità da colui di cui si pretenderebbe, al termine della prova, affermare che ha disertato l’infallibilità. Tale è … la viziosità radicale … del Lefebvrismo.

“Concretamente nella realtà, checché ne sia delle dichiarazioni platoniche o delle spettacolari velleità, chiunque compie la MISSIO ha ineluttabilmente ed oggettivamente lo stesso comportamento rispetto alla TESI e rispetto alla CONSACRAZIONE; visto che queste due cose sono ontologicamente indissolubili, come lo sono, in ogni ente concreto, l’Atto d’essere e la natura che ne è la misura. D’altronde è ciò che conferma l’osservazione.

Da una parte infatti rigettare la TESI, ed ammettere [apparentemente] la CONSACRAZIONE, sarebbe evidentemente essere scismatico.

D’altra parte, rigettare la CONSACRAZIONE, e ammettere [apparentemente] la TESI, è degradare quest’ultima ad un’astrazione eidetica [puramente logica e tagliata dalla realtà] che non è più il vero adeguatamente convertibile con la REALTÀ. LA CONSACRAZIONE prova che chiunque non è per la TESI, anche se su un solo punto, IN REALTÀ è contro la TESI [“chi non è con me è contro di me” (Le. XI 23)] …

Se si sceglie di perseguire la MISSIO senza riferirne all’autorità, è perché si giustifica questo comportamento apparentemente anormale con l’affermare che l’”autorità” non è l’Autorità, cioè con l’affermare la TESI a titolo di “principio”, e ponendo “in atto” che questo “principio” esige di proseguire la MISSIO. Quindi, chi si oppone EX SE alla continuazione della Missio, si oppone EX SE e IPSO FACTO alla TESI, la quale è di diritto il principio necessitante. E poiché senza CONSACRAZIONE la MISSIO non può durare, la congiuntura, cioè il fatto di proseguire la MISSIO senza riferirne all’”autorità”, comporta che, oggettivamente e concretamente, rifiutare le CONSACRAZIONI è NEGARE la TESI. Altrimenti detto, poi ché la CONSACRAZIONE è una condizione necessaria perché sussista una conseguenza di fatto necessaria della TESI, impedire questa conseguenza (rifiutando la CONSACRAZIONE), è in realtà rifiutare la TESI che è il principio necessitante di questa conseguenza».

Questi principi di azione studiati e vissuti da Mons. Guérard sono stati coerentemente la linea della sua vita negli ultimi anni, fino alla fine: criticato e deriso, soprattutto sentitosi abbandonato, non ha cessato di professare la verità. Ad oggi, nessuno ha saputo analizzare meglio di lui la situazione attuale, nessuno ha saputo rispondere alle obiezioni da lui poste alle altre “tesi” che cercano di dare altre soluzioni a tal situazione.

Defunctus adhuc loquitur: il defunto ancora parla, è ben il caso di Mons. Guérard perché troviamo nei suoi scritti e nelle sue parole la comprensione dei fatti di oggi e di domani: la soluzione della crisi nella Chiesa si troverà quando si applicheranno onestamente tutti i principi da lui esposti. Prendere, come tanti, una parte di ciò che ha insegnato “per non sporcarsi le mani” è disonesto e non risolve un bel nulla. Ma evidentemente far propria tutta la Tesi di Mons. Guérard, oggi, costa umiliazioni ed incomprensioni.

Beati i morti che muoiono nel Signore

Adesso Mons. Guérard ci guarda dall’alto. Cosa dire di lui, adesso?

È lui stesso che ce lo suggerisce: «Beati mortui qui in Domino moriuntur. Beati. La fede trasalisce e la natura resta interdetta. Mistero e mistero. È la parola solenne che irradia la luce proprio al Regno. Beati mortui qui in Domino moriuntur! E come una nona beatitudine, è l’aurora della Beatitudine eterna, la sola che non ha bisogno di “perché”. Così noi possiamo completare l’ultima beatitudine della terra, che deve essere simile alle prime otto: “Beati mortui qui in Domino moriuntur” quia “Pretiosa est in conspectu Domini mors sanctorum ejus” (“Beati i morti che muoiono nel Signore” perché “è preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi” Apoc. 14.13: Sal. 115,15). Testimoni della morte altrui, non possiamo ricostruire il ruolo del morente. Desiderosa di vedere Dio, la nostra natura si rifiuta di comprendere perché l’unità del nostro essere deve essere distrutta per affermare Colui che ne è la causa. Ma non c’è, all’occorrenza, che una cosa da comprendere: la morte non è entrata nel mondo che per un peccato … Nessuno sulla terra vede Dio. Chi vuol vedere vuol dunque lasciare la terra. Chi vuol restare sulla terra, forse vorrebbe vedere, ma in verità non lo vuole. Beati mortui qui in Domino moriuntur. Beali coloro che muoiono nella virtù del desiderio del loro Signore.

Il desiderio di Dio realizza dunque la beatitudine nella morte, benché non miri alla morte stessa, ecco il fatto: morire mi è di guadagno (Fil. 1,21).

Come si fa? Ora c’è una radicale opposizione tra il mirabilius reformasti e la deformazione: l’uno fu una rottura violenta imposta dal di fuori dall’uomo, lui stesso volontariamente fuori dall’ordine di Dio: l’altro procede sempre dal di dentro, secondo la dolcezza e la forza di Dio. La morte cui si urtò un desiderio accecato e che privò della vita; ed ecco che un desiderio santo assume la morte al punto di produrla, invece di volerla fuggire. O Signore, come è grande di morire di desiderio, e vi prego ardentemente di farmi tutto umile se vi degnate far risuonare nel mio cuore il vostro misterioso: “Se tu vuoi …” (Mt. 19.21).

Per intravedere come morire in voi è semplice, non devo considerare in me la creatura, la creatura umana, la creatura umana è peccatrice paragonata al suo Creatore, allo Spirito sussistente, all’Amore sussistente.

Quello che mi fa e mi farà eternamente semplice, cioè simile a voi, è d’essere vostro figlio. L’atto di morire in voi è un atto di fanciullo per eccellenza: atto uscito dal fanciullo, uscito dal Desiderio, ma sotto la mozione della misteriosa grazia. Il Desiderio ispiratore della morte beata procede dalla creatura, è finito; può essere infinito solo se afferrato da Dio si fa immanente a lui. È Dio che suscita il Desiderio, intanto che attira.

“Nessuno viene a me se il Padre mio non l’attira” (Gv. 6, 44).

“Quando sarò stato innalzato, attirerò tutto a me” (Gv. 12, 32).

Il Desiderio è infinito nell’Attrattiva dove riposa.

Preziosa per voi Signore la morte di ciascuno dei vostri figli: Abba Pater.

Prezioso per voi il trapasso di quelli che, in virtù del vostro Amore, s’istruiscono mutualmente della più segreta Beatitudine: quella di morire e di scoprire, nell’atto stesso della morte, il segno supremo della vostra saggezza: costoro manifestano l’intima trascendenza della vostra immutevole Attrattiva.

Preziosa è per voi, Signore, la morte di ciascuno dei vostri santi nel vostro Amore; preziosa vi è la morte di tutti i vostri santi insieme in questo stesso Amore».