Sulla validità e legittimità della Messa “tridentina”

Sul blog di Aldo Maria Valli sono stati pubblicati alcuni interventi sulla questione dell’assistenza alla Messa di San Pio V: prima la lettera di un lettore, poi la risposta di don Nicola Bux e infine la replica del Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Un lettore di Sodalitium ha chiesto a don Francesco Ricossa un parere sul contenuto degli interventi. Pubblichiamo prima la risposta di don Ricossa (breve e incisiva) e poi gli interventi precedenti.

Caro F.
su ‘monsignor’ Bux ho già scritto su Sodalitium n. 65 (l’articolo sui tre anelli): è un vero modernista adepto del dialogo interreligioso. Che sia creduto un conservatore o tradizionalista la dice lunga su come i modernisti stiano ‘gestendo l’opposizione’ mettendo loro esponenti a capo dell’opposizione tradizionalista.
Quanto alla Fraternità, essa è ancora più irritante. Da un lato invoca lo stato di necessità (che esiste certamente, ma che richiede che il Papa non ci sia o sia impedito ad agire), dall’altro obietta a Bux tutti i privilegi loro concessi da “Papa Francesco” e predecessori, che li regolarizza di fatto. Ma se la Chiesa è in stato di necessità in quanto governata da modernisti, come mai i modernisti dicono che la Fraternità è cattolica, e le danno il diritto di celebrare, confessare, benedire le nozze ecc. (cosa che non fanno con noi)? Con questi argomenti i sacerdoti della Fraternità si danno la zappa sui piedi.
Infine, paradossalmente, Bux ha ragione, seppur per il motivo sbagliato: le messe della Fraternità sono valide (se dette da sacerdoti ordinati col rito cattolico, da vescovi consacrati col rito cattolico, cosa che ormai nella Fraternità non è più scontata) ma sono illecite, anzi sacrileghe. Non perché sarebbero fuori dalla comunione con Bergoglio, come dice Bux, ma per il motivo opposto: perché sono in comunione con Bergoglio.
don Francesco Ricossa

1) “Ho scoperto la Messa tridentina. Ma quanti dubbi!” / Con una risposta di monsignor Nicola Bux

Caro Valli, sono stato alla Messa in rito tridentino nella chiesa di Santi Celso e Giuliano, a Roma. Il celebrante era un giovane sacerdote, mi sembra dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote.
Nella chiesa c’è una bella immagine di san Giovanni Paolo II (sono molto devoto a questo santo) e da tale particolare deduco che i sacerdoti lì non siano lefebvriani. Pertanto non rischio scomuniche latae sententiae se decido di andarci più spesso, giusto?
Del resto, lo stesso san Giovanni Paolo II era stato nella sostanza tollerante con i fedeli “tradizionalisti” a condizione che riconoscessero l’autorità del pontefice e la liceità delle Messe in volgare.
Inoltre, se non sbaglio, il motu proprio del 2007 emanato da Benedetto XVI ha comunque permesso a tutti i fedeli che ne abbiano il desiderio di partecipare a Messe in rito tridentino, purché celebrate da sacerdoti lecitamente ordinati e in comunione con Roma.
La Messa tridentina è considerata una forma straordinaria del rito romano, e di per sé non è mai stata bandita. La regola dovrebbe essere questa fintantoché non ci siano nuove decisioni di papa Bergoglio. Conferma?
Le confesso che, come tutti quelli della mia generazione (sono nato nel 1982), sono cresciuto con le Messe in rito ordinario e non ho per niente dimestichezza con la liturgia tridentina, ma ne sono attirato.
Tra le differenze più evidenti, noto l’assenza della preghiera dei fedeli e del segno della pace (come mi era stato raccontato dai miei genitori). Non so se il brano del Vangelo coincide con quello del rito ordinario.
Nel complesso, si ha la sensazione che Cristo sia davvero il protagonista della celebrazione e non l’assemblea o il suo “presidente”.
Non vi sono i canti (con chitarre annesse!) che in base alla mia personale esperienza in alcuni contesti sembrano essere diventati più centrali della celebrazione eucaristica stessa.
Inoltre, il testo del Padre nostro dovrebbe rimanere quello tradizionale (a sua volta corrispondente quasi perfettamente alla versione greca risalente alla fine del primo secolo), senza gli adattamenti leciti ma poco convincenti che entreranno in vigore a novembre. Ho capito bene?
Lo ripeto: riconosco di non essere abituato alla liturgia tridentina e mi ci vorrà un po’ di tempo per acquisire familiarità. Ma ora che l’ho scoperta non la lascerò.
Mi può consigliare qualche lettura per aiutarmi in tal senso?
Lettera firmata

2) Risponde monsignor Nicola Bux

Caro Valli, la chiesa romana dei Santi Celso e Giuliano era la parrocchia nella quale fu battezzato Eugenio Pacelli, ilvenerabile papa Pio XII.
L’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, a cui appartiene il celebrante della Messa di cui parla il lettore, è di diritto pontificio e quindi cattolico a pieno titolo. Esso celebra la Santa Messa nella forma straordinaria, chiamata comunemente tridentina.
È vero che in questa Messa risalta maggiormente la centralità di Cristo, perché il sacerdote appare davvero come ministro, servitore di Dio, decentrato rispetto all’altare e alla Croce.In questa Messa, poi, l’ordine delle letture è proprio, risalente a san Girolamo. Invece l’ordine delle letture della Messa nella forma ordinaria è stato confezionato dopo il Vaticano II.
L’Istituto di Cristo Re è uno degli istituti addetti a ciò. Invece la Fraternità Sacerdotale San Pio X, composta dai sacerdoti e fedeli che hanno seguito lo scisma dell’arcivescovo Lefebvre, non è rientrata nella comunione della Chiesa cattolica, nonostante l’atto di revoca delle scomuniche e la licenza del papa regnante riguardante la celebrazione dei sacramenti del matrimonio e della penitenza.
Quanto alla Santa Messa celebrata dai loro sacerdoti, valida anche se non legittima – appunto a motivo della perdurante non comunione – dovrebbe valere quanto stabilito dal Direttorio ecumenico per le confessioni separate da Roma; ossia, i fedeli che si trovano in regioni ove non fosse facile accedere a luoghi di culto cattolico possono supplire andando dagli ortodossi e appunto dai lefebvriani. Dove invece vi fossero chiese cattoliche, non dovrebbe esserci motivo per non andare alla Santa Messa celebrata da ministri in comunione con la Chiesa cattolica.
La ragione è che la legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera partecipazione ad essa, presuppongono come esistente la comunione ecclesiale, per consolidarla e portarla a perfezione(cfr Giovannni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 35). Tra comunione ecclesiale e comunione eucaristica c’è un nesso ineludibile.
Forse tutto ciò, nella confusione attuale, diventa difficile da comprendere. D’altronde se perdurasse lo scisma, e alla morte degli attuali vescovi della Fraternità subentrassero altri vescovi ordinati senza il mandato di Roma, costoro aprirebbero una successione di vescovi illegittimi analogamente a quanto avvenne per gli scismatici orientali ortodossi. E ciò è già avvenuto, in quanto monsignor Williamson, uno dei vescovi consacrati da monsignor Lefebvre, ha a sua volta consacrato altri due-tre vescovi. Le loro ordinazioni sarebbero valide, ma del tutto illegittime. Speriamo quindi che la FSSPX rientri nella comunione cattolica.
Sul Padre nostrorimando al recente libretto a più mani da lei curato, caro Valli: Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del “Padre nostro” (Chorabooks, 2020).
Consiglio come letture utili: Claude Barthe, Storia del Messale tridentino, Solfanelli 2018. E, perdonando l’autocitazione: Nicola Bux, Come andare a Messa e non perdere la fede, II edizione, Il Giglio, 2016.
In Domino Iesu
Nicola Bux
https://www.aldomariavalli.it/2020/02/20/ho-scoperto-la-messa-tridentina-ma-quanti-dubbi-con-una-risposta-di-monsignor-nicola-bux/

3) “Valide ma illegittime”? Un intervento dei sacerdoti del Distretto italiano della Fraternità San Pio X

Nei giorni scorsi sul blog di Aldo Maria Valli è apparsa una risposta di monsignor Nicola Bux a una lettera, inviata da un lettore, che chiedeva maggiori lumi sulla Messa tridentina, dopo aver assistito ad una celebrazione dell’Istituto Cristo Re in una chiesa dell’Urbe.
Il sacerdote ne approfittava per spiegare diverse cose, tirando in ballo la Fraternità San Pio X, le cui Messe vengono definite “valide ma illegittime”, e che viene trattata alla stregua di una comunità non cattolica. Ne esce un discorso che, prima ancora di essere teologicamente e canonicamente lontano dalla realtà, è anche incoerente in sé stesso.
Monsignor Bux sostiene che la Fraternità San Pio X sia scismatica, mettendola al pari con le “chiese ortodosse” e dicendo che solo nel caso in cui non vi fosse altra possibilità, sarebbe lecito ricevere i sacramenti da noi (come dagli ortodossi). Facciamo solo notare che, anche da un punto di vista puramente legalistico (come è quello di mons. Bux), già nel 1994 (quindi nel pieno vigore delle cosiddette “scomuniche”) la Pontificia Commissione per l’Unità dei Cristiani, nella persona del cardinal E. Cassidy, rispondeva che la questione della Fraternità non era di sua competenza, essendo questa “una questione interna alla Chiesa cattolica”. Ugualmente, nel 2002 e 2003, la Pontificia Commissione Ecclesia Dei aveva precisato che l’assistenza alla Messa presso la Fraternità San Pio X poteva essere ammessa per soddisfare il precetto domenicale, e non solo in casi estremi. Le stesse concessioni del potere di confessare ovunque e di celebrare matrimoni e Messe nuziali, fatte da Papa Francesco ai preti della Fraternità (e citate dallo stesso mons. Bux), dovrebbero quantomeno fargli capire che il nostro caso non è considerato dalle “norme” alla stessa stregua di quello delle comunità separate. Quindi il parallelo fatto da mons. Bux è impietosamente smentito dai Papi stessi a cui fa riferimento; casomai è la Fraternità a chiedersi in che modo sia ancora cattolico chi ha alterato vistosamente le verità della fede per piacere al mondo, dal Concilio in poi. Per essere sacramentalmente uniti, infatti, ci vuole unità di governo, ma questa stessa è al servizio dell’unità nella vera fede, che mons. Bux nemmeno cita.
Mons. Nicola Bux ci dice che la comunione ecclesiale è essenziale per ricevere insieme la comunione sacramentale. Un principio bellissimo e giustissimo, smentito, però, da quella concessione di ricevere i sacramenti da membri di altre “chiese” da lui citata. A questa nuova dottrina del Vaticano II, contraria al Magistero di sempre, si oppone la Fraternità San Pio X, che appunto ritiene che la Chiesa sia Una. Proprio per opporsi a questa ed altre nuove dottrine, monsignor Lefebvre e la Fraternità sono incorsi in censure da noi sempre ritenute invalide. Mons. Bux, invece, contesta volentieri il Papa regnante, ma non ne assume alcuna conseguenza. Per lui, gravissime eresie possono essere diffuse nella Chiesa senza che questo renda lecita e necessaria una resistenza come quella che, coraggiosamente, intraprese monsignor Lefebvre.
Ma andiamo avanti: nella prima versione del testo, poi modificata (ma leggibile in copia cache e da noi salvata) mons. Bux scriveva quanto segue: «D’altronde se perdurasse lo scisma, e alla morte degli attuali vescovi della Fraternità subentrassero altri vescovi ordinati senza il mandato di Roma, costoro non sarebbero solo illegittimi come i primi, ma anche invalidi, e quindi le eventuali ordinazioni sacerdotali sarebbero nulle». Una tale enormità teologica, poi corretta perché, evidentemente, saltata agli occhi di qualcuno, non può essere scritta nemmeno per sbaglio da chi ha una conoscenza anche elementare della teologia sacramentaria, e fa il paio con quelli che dicono che se si nomina Papa Francesco nel canone la Messa diventa invalida. Mons. Bux aveva detto poco prima che si può andare a Messa dagli ortodossi in certi casi, perché la loro Messa è valida sacramentalmente: ma gli ortodossi ordinano vescovi senza mandato papale da mille anni, e nessuno dubita della validità di tali ordinazioni, che sono “solamente” illecite. Non solo: mons. Rangel, consacrato vescovo per L’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianey (Campos, Brasile) dai vescovi della Fraternità San Pio X nel 1991, si riconciliò con Roma nel 2001, e fu considerato (logicamente) dalla Santa Sede come validamente ordinato. Fortunatamente per lui, mons. Bux ha corretto un errore così grossolano; ma, intanto, ha lanciato il sasso e molti lettori possono essersi “bevuti” la prima versione.
Al lettore che ha scoperto la Messa tridentina, noi suggeriamo di andare ancora un po’ oltre: la sua «sensazione che Cristo sia davvero il protagonista della celebrazione e non l’assemblea o il suo “presidente”» è un ottimo punto di partenza per capire che, se i due riti esprimono concetti contraddittori, non possono convivere, ma si escludono. Non sono due versioni di uno stesso rito, ma due linguaggi per esprimere idee opposte su presenza reale, sacrificio della Messa e sacerdozio. Gli consigliamo anche noi delle letture: il Breve esame critico del Novus Ordo Missae, dei Cardinali Ottaviani e Bacci, facilmente reperibile in rete; il libro La Messa di sempre, di Mons. Lefebvre (disponibile presso le edizioni Piane); e anche, sempre di Mons. Lefebvre, Lo hanno detronizzato. Potrà, così, scoprire che, ad essere incompatibili, non sono solo i due riti, ma anche le due teologie, quella cattolica e quella modernista dei Papi del post concilio. Se vedrà che questo è vero, capirà anche le ragioni della resistenza della Fraternità San Pio X che, a differenza di alcuni contestatori dell’attuale Pontefice, non si è limitata a delle velleità, ma ha ritenuto la preservazione della Fede un bene fondamentale, più alto del diritto puramente positivo e da difendere ad ogni costo. Capirà che per poter avere dei preti che non vanno in un seminario dove devono accettare degli errori per essere ordinati, occorreva fare ciò che Monsignor Lefebvre ha fatto. Mons. Bux e alcuni prelati conservatori convengono che almeno in questo pontificato ci siano gravissimi errori, disseminati dalle più alte autorità della Chiesa. Possibile, allora, che questo per loro non sia importante, e che la professione della Fede non conti niente per loro? Un candidato al sacerdozio che si rende conto degli errori di Amoris laetitia o del Sinodo “amazzonico” dovrà fare lo gnorri per tutto il corso del suo seminario, fingendo di essere d’accordo? È questa una situazione accettabile per mons. Bux? O non è forse una situazione eccezionale, che rende leciti mezzi eccezionali, come quelli presi da mons. Lefebvre contro gli errori conciliari e post-conciliari?
Se il lettore seguirà la sua buona ispirazione, unirà la Messa tridentina alla Dottrina cattolica che la esprime e si troverà logicamente ad escludere gli errori: cioè entrerà nella realtà della Fede e non nello sterile legalismo. Non farà, cioè, come mons. Bux e scoprirà che la Messa tradizionale esprime delle verità che l’altro rito nega. In breve, sarà portato a fare una scelta di principio. Non di comodo.
A tutti quelli che volessero approfondire la questione, consigliamo le stesse letture, accompagnate anche da un buon manuale di teologia sacramentaria e da uno di ecclesiologia (magari il De Sacramentis di Padre Cappello, e il De Ecclesia di Billot o di Franzelin). Sulla situazione canonica della Fraternità potrebbe giovare il libro del Prof. Pasqualucci, La persecuzione dei “Lefebvriani”, Edizioni Solfanelli.
I Sacerdoti del Distretto italiano della Fraternità San Pio X