Enciclica sui rapporti tra Stato e Chiesa: “Immortale Dei” di Leone XIII

IMMORTALE DEI

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ IL PAPA LEONE XIII

La Chiesa, opera immortale di Dio misericordioso, sebbene per natura sua abbia direttamente di mira la salute delle anime e l’eterna felicità del cielo, tuttavia anche nell’ordine temporale reca tali e tanti vantaggi, che più e maggiori non si potrebbe se fosse destinata direttamente e sopra ogni cosa a procurare la prosperità della vita presente.

Infatti dovunque poté mettere il piede, cambiò immediatamente l’aspetto delle cose, e i costumi dei popoli informò a virtù prima sconosciute e a civiltà nuova; per la quale, coloro che l’accolsero, superarono gli altri per mitezza d’indole, per equità e per splendore d’imprese.

Con tutto ciò è assai vecchia quell’oltraggiosa accusa, che alla Chiesa si muove, di essere nemica degli interessi civili e del tutto incapace di promuovere quelle condizioni di benessere e di gloria, cui a buon diritto e per naturale tendenza aspira ogni ben ordinata società. Sappiamo che già sin dai primi tempi della Chiesa, a causa di questo iniquo pregiudizio, si costumò perseguitare i cristiani e metterli in odio e mala vista anche come nemici dell’impero: prevalendo in quel tempo il maltalento d’imputar loro ogni sventura di Dio che puniva i colpevoli. – L’atroce calunnia giustamente armò l’ingegno e affilò la penna di Agostino, il quale, soprattutto nella Città di Dio, pose in tanta luce l’efficacia della cristiana dottrina anche sotto l’aspetto sociale, che si direbbe aver lui non solo fatto l’apologia dei cristiani del suo tempo, ma anche colto un trionfo imperituro su tutti i malvagi calunniatori.

Sopravvisse tuttavia la funesta voglia di simili lamentele e accuse; e moltissimi si premurarono di attingere le norme del vivere sociale fuori dei princìpi proclamati dalla Chiesa cattolica. Anzi da ultimo prese a vigorire e prevalere un po’ dovunque il cosiddetto “nuovo diritto”, che si afferma essere un acquisto dei maturi tempi moderni, dovuto all’opera della libertà che progredisce.

Ma per tentativi che da molti si fecero, è un fatto che a costituire e governare gli stati non venne trovato miglior metodo di quello che spontaneamente scaturisce dalla dottrina dell’Evangelo.

Giudichiamo pertanto esser cosa di suprema importanza e tutta al caso del Nostro ministero apostolico confrontare le moderne teorie sociali con le dottrine cristiane: per il qual mezzo confidiamo che, facendosi largo la verità, abbiano a sparire gli errori e i dubbi, in modo che torni facile conoscere le principali norme di condotta, alle quali conviene che ognuno si attenga e obbedisca.

L’origine del potere

Non è difficile determinare quale sarebbe l’aspetto e l’intima organizzazione di una società pienamente formata su princìpi cristiani. L’uomo è naturalmente ordinato alla società civile; poiché non potendo nell’isolamento procacciarsi da sé il necessario alla vita e al perfezionamento intellettuale e morale, la Provvidenza dispose che egli nascesse atto a congiungersi e unirsi ad altri, sia nella società domestica, sia nella società civile la quale solamente gli può fornire tutto quello che basta perfettamente alla vita. E poiché non vi è società che si tenga in piedi, se non c’è chi sovrintenda agli altri movendo ognuno con efficacia e unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l’autorità che la regga; la quale non altrimenti che la società, è da natura, e per ciò stesso viene da Dio.

Ne consegue che il potere pubblico in se stesso non può derivare che da Dio. Dio solo è il vero e supremo Signore del mondo e a lui devono sottostare tutte quante le creature, e servirlo, in modo che chiunque è investito della sovranità non da altri che da Dio massimo Signore di tutti. “Potestà non è se non da Dio” (Rm 13,1).

L’autorità sovrana, per sé, non è di necessità legata a nessuna forma di governo in particolare: è in poter suo assumere ora l’una ora l’altra, purché capaci di cooperare al benessere e all’utilità pubblica. Ma i governanti, in qualsiasi organizzazione della cosa pubblica, hanno da volgere gli occhi al supremo reggitore del mondo, e tenerlo presente nel governo civile, come modello e norma da seguire. Poiché come nell’ordine delle cose visibili Dio generò le cause seconde, che rivelassero in qualche modo la natura e l’azione divina e fossero debitamente coordinate al fine ultimo della creazione, così egli volle che nel civile consorzio ci fosse un sovrano potere, i cui depositari specchiassero in sé in qualche modo l’immagine della potestà e provvidenza divina sopra il genere umano. Quindi l’esercizio dell’autorità dev’essere giusto né qual di padrone ma quasi di padre perché la potestà esercitata da Dio sulle creature ragionevoli è giustissima e accompagnata da paterna dolcezza: similmente a utilità dei sudditi dev’essere indirizzato il comando; poiché la ragione unica del potere di chi governa è la tutela del bene sociale. Né in alcun modo deve accadere che la civile autorità serva agli interessi di uno o di pochi, essendo essa invece stabilita a vantaggio di tutti. Se poi di reggitori si lasceranno andare a ingiusto dominio, se mancheranno per durezza o orgoglio, se mal provvederanno al bene del popolo, si stampino bene in mente che un giorno essi avranno da rendere ragione a Dio con tanto maggior rigore, quanto fu più augusto il ministero e più eccelsa la dignità che ebbero. “I potenti saranno poderosamente puniti” (Sp 6,7).

In tal modo, alla preminenza dei sovrani risponderà decorosa e spontanea la riverenza dei sudditi, i quali una volta persuasi che l’autorità dei governanti è da Dio, comprenderanno esser giusto e doveroso ubbidire ai prìncipi, professar loro ossequio, fedeltà e amore quasi di figli verso i propri genitori. “Ogni uomo alle eccelse potestà sia soggetto” (Rm 13, 1).

Disubbidire al potere legittimo, qualunque sia la persona che ne è investita, non è lecito più di quello che sia l’opporsi al volere divino, al quale chi si oppone precipita volontariamente in rovina. “Chi resiste alla potestà, resiste all’ordinamento divino, e quei che resistono ne riporteranno condanna” (Rm 5,2). Quindi scuotere il freno della soggezione e turbare con sedizioni lo stato, è delitto di lesa maestà non solo umana, ma anche divina.

Doveri religiosi della società

È chiaro che una società così costituita, ai molti e gravi doveri, che a Dio la stringono, deve assolutamente soddisfare con atti di culto pubblico.

La natura e la ragione che ordinano a ciascun individuo di onorare Dio con animo rispettoso e devoto, perché siamo in tutto dipendenti da lui, e da lui partiti a lui medesimo dobbiamo ritornare, la medesima legge impongono alla società. Difatti la società non dipende meno da Dio che i singoli individui che la compongono, né da minori obbligazioni che quelli verso Dio medesimo, dal quale essa riconosce l’essere, la conservazione e tutto quel cumulo immenso di beni, che ha nel suo seno. Quindi come a nessuno è lecito trascurare i propri doveri verso Dio, il più importante dei quali è quello di professare e praticare la religione, e non quella che più talenta a ciascuno, ma quella che Dio impose, e che per determinati e non equivoci caratteri è dimostrata unica vera tra tutte le altre; così gli stati non possono, senza empietà, comportarsi come se Dio non esistesse, o trascurare la religione come cosa estranea e di nessuna importanza, o adottarne indifferentemente una fra le molte; ha invece l’obbligo di onorare Dio in quella forma e in quel modo che egli stesso mostrò di volere.

Abbiano dunque i prìncipi caro sopra ogni cosa l’onore di Dio e pongano in cima ai loro doveri il favorire la religione, il sostenerla con benevolenza e farle scudo con l’autorità delle leggi, né cosa alcuna istituire o prescrivere che sia nociva all’incolumità di essa. E di ciò sono essi debitori altresì verso i loro sudditi. Poiché quanti respiriamo, tutti siamo nati e destinati a quel supremo e ultimo bene, al quale si deve volgere tutti i pensieri, bene che dimora al di là di questa fragile e breve vita, nei cieli. Ora, dipendendo da ciò la piena e perfetta felicità degli uomini, ne segue che raggiungere il detto fine è cosa per ciascuno di tanta importanza che maggiore non si può dare. È necessario dunque che la società civile, essendo ordinata al bene comune, promuova la pubblica prosperità in modo che i cittadini nel camminare verso l’acquisto di quel supremo e incommutabile bene, al quale tendono per natura, non solo non incontrino inciampi da parte sua, ma ne abbiano invece ogni possibile agevolazione, e la prima e principale è appunto questa: fare ogni cosa al fine di mantenere rispettata e inviolabile la religione, i cui doveri formano il legame tra l’uomo e Dio.

La vera religione

Quale sia poi la vera religione, non sarà difficile scorgere, sol che nella ricerca si adotti saggio e imparziale giudizio; infatti attraverso moltissime ed evidenti prove, come sono le profezie adempiute, il numero straordinario dei miracoli, la rapida diffusione della fede anche in mezzo a nemici e a ostacoli gravissimi, la testimonianza dei martiri, e altre simili, è manifesto che l’unica vera è quella da Gesù Cristo medesimo fondata e affidata alla sua Chiesa, perché la mantenesse e propagasse nel mondo.

Infatti l’unigenito Figlio di Dio istituì sulla terra quella società, che si chiama Chiesa, alla quale diede l’incarico di continuare per tutto il corso dei secoli l’eccelsa e divina missione, che egli aveva ricevuto dal divino Padre. “Come il Padre mandò me, anch’io mando voi” (Gv 20,21).

“Ecco, io sono con voi per tutti i giorni fino alla consumazione del mondo” (Mt 28,20). Dunque come Gesù Cristo discese in terra “onde gli uomini abbiano la vita e ne abbondino” (Gv 10,110), così la Chiesa ha per scopo la salvezza eterna delle anime, e quindi per l’intima natura sua abbraccia tutto il genere umano non circoscritta da alcun limite né di luoghi, né di tempi. “Predicate l’Evangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).

A questa sconfinata moltitudine di uomini lo stesso Signore Dio assegnò magistrati con potestà di governarla: e uno prescelse, che avesse sopra tutti autorità di principe, e fosse supremo e infallibile maestro di verità, nelle mani del quale pose le chiavi del regno dei cieli. “Ti darò le chiavi del regno dei cieli” (Mt 16,19); “pasci gli agnelli… pasci le pecore” (Gv 21, 16-17); “Io pregai per te che non venga meno la tua fede” (Lc 22,32).

La Chiesa è una società perfetta

Questa società, sebbene composta di uomini non altrimenti che la società civile, tuttavia a causa del fine a cui mira e dei mezzi che adopera per conseguirlo, ha carattere sovrannaturale e spirituale, e perciò va distinta ed è diversa dalla civile, e, quel che è più, è società nel suo genere e giuridicamente perfetta, avendo per volontà e grazia del suo Fondatore in sé e per sé medesima tutto ciò che occorre al suo essere e operare. Come il fine, al quale la Chiesa tende, è nobilissimo sopra ogni altro, così la potestà di essa supera tutte le altre, e non dev’essere né riputata inferiore ai poteri dello stato, né a lui in qualsiasi modo sottoposta.

In verità ai suoi apostoli diede Gesù Cristo pieni poteri nell’ambito delle cose sacre, aggiuntavi la facoltà di far leggi propriamente dette, e la doppia potestà, che da quella prima deriva, di giudicare e di punire. “Mi fu data ogni potestà in cielo e in terra; andate pertanto… e insegnate a tutte le genti, ammaestrandole a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,18-20). E altrove: “Se non ti ascolterà, parlane alla Chiesa” (Mt 18,17). E di nuovo, “ci sarebbe facile punire ogni disobbedienza” (2Cor 10,6); e, “tratterò più duramente secondo la potestà che il Signore mi diede per l’edificazione, e non per la distruzione” (2Cor 13,10). Di qui appare chiaro che non alla società civile, ma alla Chiesa spetta condurre gli uomini al conseguimento dei beni soprannaturali, e a lei medesima fu concesso da Dio l’ufficio di giudicare e definire in materia di religione; di ammaestrare tutte le genti, di allargare ampiamente, quanto è possibile, i confini del cristianesimo: per dirla in breve, di governare liberamente e senza impedimenti a suo senno la grande famiglia cristiana.

Ora questa autorità perfetta e affatto indipendente, contro la quale da lungo tempo si schiera una certa filosofia adulatrice dei prìncipi, la Chiesa non cessò mai di rivendicarsela e metterla pubblicamente in atto; primi a lottare per essa furono gli apostoli, i quali, essendo loro vietato dai prìncipi della sinagoga di spargere l’evangelica parola, rispondevano impavidi: “è necessario ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini” (At 5, 29). La medesima autorità sostennero calorosamente con poderose ragioni i santi padri ogni volta che ne ebbero l’opportunità; né i romani pontefici trascurarono mai di vendicarla contro gli avversari con invitta costanza.

Anzi la riconobbero e in teoria e in pratica gli stessi prìncipi e reggitori degli stati; i quali facendo trattati e componendosi negli affari correnti, mandando e a vicenda ricevendo legati, e con lo scambio di altre relazioni, ebbero l’abitudine di trattare con la Chiesa come con una suprema potenza legittima.

Né certo è da credere che senza uno speciale disegno della Provvidenza questa suprema potestà fosse munita di un principato civile, sicurissimo riparo alla sua indipendenza.

Le due potestà

Così il governo dell’umana famiglia Dio lo volle ripartito tra due potestà, che sono la ecclesiastica e la civile, l’una delle quali sovraintendesse alle cose divine, l’altra alle terrene. Ambedue sono supreme, ciascuna nel suo ordine; hanno ambedue i loro propri limiti entro cui mantenersi, segnati dalla natura e dal fine prossimo di ciascuna; quindi intorno a esse viene a descriversi come una sfera, entro la quale ciascuna dispone con diritto proprio. Ma poiché uno medesimo è il soggetto di ambedue le potestà, e potendo una medesima cosa, quantunque sotto ragione e aspetto differente, appartenere alla giurisdizione dell’una e dell’altra, la divina Provvidenza, che la ha stabilite ambedue, deve averle pure ordinate convenientemente tra loro. “E quelle (potestà) che sono, son da Dio ordinate” (Rm 13,1). Se così non fosse, sorgerebbero spesso occasioni di contese e conflitti, e non di rado l’uomo sarebbe costretto a rimanere in forse, come chi si trova in un bivio e penosamente incerto circa la decisione da prendere, posto egli sarebbe come fra le contrarie disposizioni di due autorità, alle quali non può in coscienza ricusare di ubbidire. Or questo ripugna in sommo grado che si pensi della sapienza e bontà di Dio, il quale anche nell’ordine fisico, che pure è tanto inferiore, accordò tra loro le forze naturali e le loro leggi con tanta soavità d’arte e con una tale armonia che nessuna di esse è d’impedimento alle altre, e tutte insieme cooperano concordemente e con opportuna maniera allo scopo finale del mondo.

Devono dunque essere tra loro debitamente coordinate le due potestà; la quale coordinazione non a torto vien paragonata a quella dell’anima e del corpo nell’uomo. La qualità poi e la portata di siffatte relazioni non si può altrimenti stabilire, che ponendo mente, come si è detto, alla natura delle due autorità, e facendo ragione dell’eccellenza e nobiltà dei rispettivi fini, essendo l’una direttamente e principalmente preposta alla cura delle cose temporali, l’altra all’acquisto dei beni soprannaturali ed eterni.

Quindi tutto ciò che nel mondo in qualunque modo ha ragione di sacro, tutto ciò che riguarda la salute delle anime e il culto divino, o che tale sia per natura sua, ovvero per il fine al quale si riferisce, cade sotto la giurisdizione della Chiesa. Tutte le altre cose poi, che si racchiudono nel giro delle ingerenze civili e politiche, è giusto che sottostiano all’autorità civile, avendo Gesù Cristo espressamente comandato che sia reso a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.

Senonché si danno talora dei casi, nei quali si apre un’altra via di concordia ad assicurare la libertà di entrambe, cioè allorché i governanti civili e il romano pontefice si mettono d’accordo sopra qualche punto in particolare. Nelle quali circostanze la Chiesa offre prove splendidissime di bontà materna, recando tutto quel che le è possibile in opera di facilitazione e d’indulgenza.

Questa, che abbiamo descritto per sommi capi, è la forma cristiana della civile società; il concetto della quale non è creato senza ragione e a capriccio, ma attinto a supremi e verissimi principi confermati anche dalla ragione naturale.

Benefici sociali della forma Cristiana dello stato

Ora siffatta costituzione sociale nulla in sé contiene che possa ragionevolmente reputarsi men degno o poco onorevole per l’autorità civile: ed è così lontano dal vero, che essa svilisca i diritti della maestà, che invece li rende vieppiù saldi e venerandi. Anzi se la si considera più a fondo, presenta una perfezione che le altre costituzioni non hanno: e sarebbe feconda dei più preziosi e svariati vantaggi, se ciascuna delle parti fosse libera di tenere il posto che le conviene, e di esercitare pienamente quell’azione cui di dovere è preposta.

E certamente in una società costituita nel modo che abbiamo detto, le umane e le divine cose sono mirabilmente ordinate: i diritti dei cittadini rispettati come inviolabili e posti sotto l’egida delle leggi divine naturali e umane: i doveri di ciascuno esattamente definiti, e curato l’adempimento. Ogni individuo, in questo terrestre pellegrinaggio pieno d’incertezze e di stenti che conduce alla sempiterna dimora del cielo, sa di avere chi lo guida sicuramente, e lo aiuta a toccare la meta; e sa pure di avere chi veglia sia a procurargli sia a conservargli la sicurezza, le fortune e gli altri beni necessari alla vita di quaggiù.

La società domestica ha la sua solida base nella santità del matrimonio uno e indivisibile; i diritti e i doveri tra i coniugi sono regolati con la più sapiente giustizia ed equità; il dovuto onore della donna è tutelato; l’autorità del marito è esemplata su quella di Dio, la patria potestà temperata convenientemente alla dignità della moglie e dei figli; e infine di questi è provveduto al mantenimento, al benessere, all’educazione.

Nell’ordine politico e civile le leggi hanno per oggetto il bene comune, né sono regolate dal capriccio e dal fallace criterio del numero, ma dalla verità e dalla giustizia; l’autorità dei prìncipi riveste un carattere sacro e quasi divino, ed è frenata perché non degeneri dalla giustizia, né trasmodi nel comando; la sudditanza è accompagnata dal sentimento del dovere e della dignità, non essendo servaggio di uomo a uomo, ma soggezione alla volontà di Dio, che per mezzo di uomini governa la società. Le quali idee una volta che siano entrate nella mente dell’uomo e vi abbiano generato un fermo convincimento, non è difficile capire che è dovere di stretta giustizia rispettare la maestà dei prìncipi, starsene saldamente e lealmente soggetti al pubblico potere, non muovere sedizioni, serbare intatta la disciplina sociale.

Parimenti si dà un posto tra i doveri alla carità vicendevole, alla liberalità, alla generosità; la coscienza del cittadino non viene mai messa in opposizione con quella del cristiano a causa di precetti contraddittori: sono assicurati alla società civile i beni immensi, di cui è feracissimo per se stesso il cristianesimo, anche nell’ordine temporale. Da ciò appare tutta la verità di quella sentenza: “Dalla religione secondo la quale si onora Dio dipende l’andamento della società, e tra l’una e l’altra intercorre per tanti aspetti quasi una parentela e intima dimestichezza”.

Dell’abbondanza di questi benefici parlò, com’è solito, mirabilmente Agostino in più luoghi delle sue opere, ma principalmente dove si rivolge alla Chiesa cattolica con queste parole: “Tu guidi e istruisci con argomenti semplici i fanciulli, con magnanimi sensi i giovani, e con calma solenne i vecchi, secondo che richiede non solo l’età, quale appare nello stato del corpo, ma quale si scorge in quello dello spirito. Tu fai che le spose se ne stiano con casta e fedele obbedienza soggette ai mariti, non a soddisfacimento di passioni, ma per averne figli, e procedere concordemente nel governo della famiglia. Tu metti i mariti a capo delle mogli, non perché prendano a soggetto di trastullo il sesso debole, ma perché siano a esse legati con i vincoli di un amore sincero. Tu mediante una tale servitù ingenua sottoponi i figli ai genitori, e costoro metti sopra i figli mediante un dominio pieno di tenerezze… Tu i cittadini ai cittadini, i popoli ai popoli, e l’umanità tutta intera, rammentando i primi progenitori, congiungi non solo con i legami della convivenza, ma anche con quelli di una tale fratellanza. Insegni ai re a essere provvidi verso i popoli, e i popoli ammonisci a essere buoni sudditi dei re. Sei accorta maestra a indicare a chi si debba rendere onore, a chi si debba tributare affetto, a chi riverenza, a chi timore, a chi conforto, a chi consiglio, a chi esortazione, a chi freno, a chi rimprovero, a chi pena, mostrando come non ogni cosa a ciascuno si convenga di dare, sebbene si sia a ognuno debitore della carità e non si abbia mai da fare torto ad alcuno”.

E il medesimo padre altrove così riprende i falsi politici: “Or costoro che vanno dicendo che la dottrina di Cristo torna nociva allo stato, si provino un po’ a darci un esercito composto di soldati della tempra che la medesima dottrina di Cristo vuole: dei governatori di province, dei martiri, delle spose, dei padri, dei figli, dei padroni, dei servi, dei re, dei magistrati e perfino dei contribuenti e degli esattori del fisco, ornati delle qualità che richiede la cristiana dottrina, e vedremo se avranno ancora il coraggio di dire che essa osteggia il benessere dello stato, o non anzi si decideranno a proclamarla grande pegno di salute per lo stato, quando ciascuno a essa si conformi”.

Il progresso dell’Europa nato dalla concordia fra i due poteri

Ci fu un tempo in cui la filosofia dell’Evangelo governava gli stati: quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e apparati dello stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell’onorevole grado che le spettava, andava fiorendo all’ombra del favore dei prìncipi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l’impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocità di servigi. Ordinata in tal modo la società, apportò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata a innumerevoli monumenti storici, che nessun artificio di nemici potrà falsare od oscurare.

Se l’Europa cristiana domò le nazioni barbare e le trasse dalla ferocia alla mansuetudine, e dalla superstizione alla luce del vero; se vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il primato della civiltà e si presentò sempre come guida e maestra alle genti in ogni genere di lodevole progresso, se di vere e larghe libertà poté allietare i popoli, se a sollievo delle umane miserie seminò dappertutto istituzioni sapienti e benefiche; non vi è dubbio, che in gran parte ne va debitrice alla religione, in cui trovò ispirazione e aiuto alla grandezza di tante opere.

Senza dubbio, tutti quei benefici sarebbero durati, se del pari fosse durata la concordia dei due poteri; e di maggiori anzi se ne poteva sperare, se con fedeltà e costanza maggiore si fosse prestato il dovuto ossequio all’autorità, al magistero e ai disegni della Chiesa. Poiché si deve tenere in conto di legge, che non patisce eccezione la sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: “Allorché regno e sacerdozio vanno d’accordo, procede bene il governo del mondo, la Chiesa fiorisce e fruttifica. Ma se al contrario s’inimicano, non solo le piccole cose non crescono, ma anche vanno in rovina le grandi”.

Errori del «nuovo diritto»

Ma il funesto e deplorevole spirito di novità, suscitatosi nel secolo XVI, prese da prima a sconvolgere la religione, passò poi naturalmente da questa nel campo filosofico, e quindi in tutti gli ordini dello stato. Da questa sorgente scaturirono le massime delle eccesive libertà moderne immaginate e proclamate in mezzo ai grandi rivolgimenti del secolo scorso come princìpi e basi di un nuovo diritto, il quale e non fu conosciuto mai in precedenza e per molti versi è in opposizione non solamente con la legge cristiana, ma anche col diritto naturale.

Di quei princìpi è ritenuto supremo fra tutti questo: che come gli uomini considerati in astratto nella loro natura specifica sono tutti uguali fra loro, similmente lo sono in concreto nell’ordine pratico della vita: ciascuno è indipendente così da non dover sottostare in nessun modo all’autorità altrui, libero di pensare e fare come gli aggrada; nessuno ha diritto di comandare agli altri. In una società regolata su tali massime, la sovranità non è altro che la volontà del popolo, il quale, come è assoluto padrone di sè, sceglie poi taluni, a cui demandare le proprie sorti, non però in modo da trasferire in essi vera e propriamente detta sovranità, ma piuttosto un ministero da esercitare in suo nome e vece. Di autorità divina non si parla, come se Dio non esistesse o non avesse provvidenza alcuna dell’umana famiglia, o non avessero né gli individui né la società alcun obbligo verso Dio, ovvero come se potesse darsi sovranità, la quale non riconoscesse da Dio stesso la sua origine, la sua forza, la sua autorità. Dal che, come appare chiaramente, lo stato non verrebbe a essere altro in sostanza che la moltitudine arbitra e moderatrice di se stessa; e poiché il popolo è considerato non altrimenti che la sorgente di ogni diritto e di ogni potere, è logico che lo stato si ritenga sciolto da qualunque dovere verso la divinità, che non professi ufficialmente alcuna religione, né si creda obbligato a ricercare qual sia tra le molte la sola vera, né ad anteporne una alle altre, né a favorirne una più delle altre, ma tutte le lasci egualmente libere, fino a che non ne venga danno all’ordine pubblico. Sarà ancor logico abbandonare la religione alla coscienza degli individui, dar piena libertà a ognuno di seguire quella che più gli talenta, e anche nessuna, se così gli piace. Quindi la libertà di coscienza, libertà di culto, libertà di pensiero, libertà di stampa.

Conseguenze del «nuovo diritto»

Poste a fondamento degli stati queste massime tanto in voga ai giorni nostri, ognuno vede a quale e quanto dura condizione venga obbligata la Chiesa. – Poiché, se alle teorie si conformasse la pratica, la religione cattolica sarà messa al pari e anche più basso dei culti acattolici, non si terrà alcun conto delle leggi ecclesiastiche, e mentre per comando di Gesù Cristo la Chiesa ebbe la missione d’insegnare a tutte le genti, le verrà negata ogni ingerenza nel pubblico insegnamento.

Anche nelle materie miste lo stato disporrà a suo piacere con piena padronanza, senza punto badare alle sante leggi della Chiesa. Quindi si arrogherà di sottomettere alla sua giurisdizione il matrimonio cristiano, anche in ciò che tocca il vincolo, la sua unità e stabilità; disporrà pure della proprietà ecclesiastica, non riconoscendo nella Chiesa il diritto di possedere. La Chiesa insomma, non più tenuta in conto come società perfetta e giuridica non sarà per lo stato altro che un’associazione simile alle tante altre che sono e vivono in esso; e se gode diritti e azione legittima, si dirà che ne gode per concessione e beneplacito dello stato.

Se poi trattasi di stati, in cui la Chiesa ha la sua posizione legalmente riconosciuta, e tra i due poteri è stabilito solennemente un accordo, si comincia col proclamare e volere la separazione della Chiesa dallo stato, e ciò con l’intento di potere impunemente violare la fede data, e disporre a piacimento di tutto senza impacci.

E non potendo la Chiesa rassegnarsi a questo, perché non può venir meno ai sacrosanti e gravissimi suoi doveri, e reclamando essa il pieno e leale adempimento dei patti sanciti, sovente fra la ecclesiastica e la civile potestà ne nascono conflitti, i quali di solito si concludono con fatto che la meno fornita di mezzi umani rimane sopraffatta dalla più forte.

Così in questo genere di costituzione, oggi caldeggiata da molti, ordinariamente si vuole o liberarsi completamente della Chiesa, o tenerla in tutto e per tutto soggetta allo stato. Ciò che al presente si opera per pubblica autorità, si opera in gran parte con questa mira. Leggi, governo, insegnamento laico, confisca di beni e scioglimento di ordini religiosi, distruzione del civile principato dei papi, sono tanti mezzi orientati a fiaccare l’influenza del cristianesimo e a coartare le libertà e a menomare ogni altro diritto della Chiesa cattolica.

Confutazione del «nuovo diritto»

Ora lo stesso naturale ragionamento basta a persuadere che queste teorie di governo vanno lungi assai dal vero. – Difatti è il naturale discorso che dimostra, come ogni potere derivi da quella suprema e augustissima sorgente che è Dio. E la sovranità popolare, che si pretende risieda essenzialmente nelle moltitudini indipendentemente da Dio, se da un canto è ottimo strumento a porgere lusinghe e incentivi a molte passioni, dall’altro non ha alcun solido fondamento, né può avere tutta la dovuta forza per mantenere tranquillo e inalterato l’ordine civile. E in verità per effetto di queste dottrine le cose sono venute precipitando a tal punto, che molti sostengono come legittimo in politica il diritto di ribellione. Poiché tiene il campo l’opinione che i prìncipi non sono nulla di più che mandatari per eseguire la volontà del popolo, necessariamente avviene che gli ordinamenti civili siano instabili come le voglie del popolo e si abbia a vivere sempre in timore di scompigli.

E in materia religiosa, avere indifferentemente nel medesimo conto le varie e opposte forme di culto, equivale a non volere riconoscere né praticare religione alcuna. Or questo se quanto al nome non è ateismo, lo è quanto alla sostanza della cosa. Poiché chi crede all’esistenza di Dio, se vuole esser logico e non cadere in gravissimo assurdo, deve di necessità comprendere che le diffuse forme di culto sì diverse, sì discordi e opposte fra loro anche in punti di capitale importanza, non possono essere tutte ugualmente vere, ugualmente buone, ugualmente gradite a Dio.

Vera e falsa libertà

Similmente la libertà del pensiero e della stampa, nella sua sconfinata ampiezza, non è per se stessa un bene di cui l’umano consorzio abbia ragione di allietarsi; è invece fonte e principio di molti mali.

La libertà, come quella che è perfezione dell’uomo, deve avere per suo oggetto il vero e il bene: e la natura del vero e del bene non è variabile a capriccio dell’uomo, ma rimane sempre la medesima, e non è meno immutabile che l’essenza stessa delle cose. L’intelligenza quando accoglie l’errore, la volontà quando si piega al male e al male aderisce, non corrono verso il loro perfezionamento, bensì scadono e si corrompono entrambe. Il male dunque e l’errore non possono aver diritto di essere messi in vista e propagati; molto meno favoriti e protetti dalle leggi. La sola vita virtuosa spiana la via al cielo, meta ultima dell’uomo; e perciò lo stato si allontana dalle leggi prescritte dalla natura, ove, tolto ogni freno all’errore e al male, lasci pieno potere di travolgere le menti e di corrompere i cuori.

Tener poi lontana dalla vita pubblica, dalle leggi, dall’insegnamento, dalla famiglia, la Chiesa da Dio stesso fondata, è grande e funestissimo errore. Non può esserci società virtuosa, se si toglie il fondamento della religione; e ormai, forse più del necessario, si sa da tutti a che si riduca e dove vada a parare quella morale che chiamano civile. Maestra verace di virtù e tutrice del buon costume è la Chiesa di Cristo; è essa che mantiene incolumi i princìpi donde derivano i doveri, e messi dinanzi i più efficaci motivi per vivere rettamente, non solo vieta le ree azioni esteriori, ma comanda altresì di frenare i moti dell’animo contrari alla ragione, anche se puramente interni.

È pure un gran torto che si fa alla Chiesa e una grande sconsideratezza, pretendere che nell’adempimento dei suoi doveri essa debba sottostare alla potestà civile. In questo modo si viene a rovesciare l’ordine mettendo prima delle cose soprannaturali le naturali; si distrugge, o per lo meno si sminuisce l’abbondanza di beni onde, libera d’impedimenti, la Chiesa arricchirebbe la vita umana; senza dire, che si apre l’adito a dissidi e ostilità, le quali di quanti guai sieno feconde per la Chiesa e per lo stato, troppo spesso fu mostrato dai fatti.

Condanna del «nuovo diritto»

Siffatte dottrine, riprovate anche dall’umana ragione e che tanta influenza hanno nell’andamento della società, i romani pontefici Nostri predecessori, ben comprendendo i doveri dell’apostolico loro ministero, non poterono lasciarle senza condanna. A tal proposito Gregorio XVI, nell’enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832, con gravissime parole riprovò alcuni princìpi, già abbastanza divulgati, cioè l’indifferentismo in materia di religione, la libertà di culto, di coscienza, della stampa e il diritto di rivolta. E della separazione della Chiesa dallo stato lo stesso pontefice portava questo giudizio: “Né Ci è permesso di concepire più liete speranze di vantaggi, che siano per venire alla religione e al principato dai desideri di coloro che vorrebbero separare la Chiesa dallo stato e rompere la vicendevole concordia dell’impero e del sacerdozio, essendo a tutti noto che i seguaci di una libertà senza pudore paventano la concordia che volse costantemente a prosperità e a salute così della civile come della religiosa società”.

Similmente Pio IX, in varie circostanze secondo l’opportunità, proscrisse molti degli errori più diffusi, i quali poi ordinò che venissero raccolti tutti insieme, affinché nel dilagare di tante false opinioni non rimanessero i cattolici senza sicura guida.

Ora in forza di questi insegnamenti dei pontefici si ha da ritenere che l’autorità pubblica non è dal popolo, ma da Dio; che il diritto che chiamano di ribellione è un assurdo; che né agli individui né agli stati è lecito fare a meno dei doveri religiosi, ovvero essere indifferenti circa le varie forme di culto; che la sfrenata libertà del pensiero e della stampa non può essere mai un diritto, né meritare favore e protezione.

Parimenti è da ritenere, che la Chiesa nell’ordine suo e nella sua giuridica costituzione è società perfetta al pari della civile, e che lo stato non deve travalicare fino a farla schiava, o volerla a sé soggetta, o impedirne l’azione, o menomare in qualsiasi modo gli altri diritti conferitile da Gesù Cristo.

E nelle materie miste, la condizione naturale e conforme ai divini consigli non è la separazione e molto meno la lotta, bensì la concordia dei due poteri, fatta a seconda che l’ordine dei loro fini prossimi comporta.

Le forme di governo

Sono questi gli insegnamenti forniti dalla Chiesa cattolica intorno alla costituzione e al governo degli stati. – Nondimeno con queste dichiarazioni e decisioni, se ben si considera, non si condanna alcuna delle forme di governo in uso, come quelle che per se stesse nulla hanno che ripugna alla dottrina cattolica, e opportunamente e giustamente applicate possono dare alla stato un ottimo ordinamento.

Anzi neppure si condanna in sé stessa la partecipazione, più o meno larga, dei cittadini all’andamento della pubblica cosa; partecipazione, che in date circostanze e con certe condizioni può essere non solo utile, ma doverosa.

Tolleranza e libertà

E neppure potrebbe altri, dalle suddette dichiarazioni, trarre motivo per accusare la Chiesa di essere nemica o di una giusta tolleranza, o di quella che è vera e legittima libertà.

E infatti se la Chiesa proclama non esser lecito mettere i differenti culti a ugual condizione giuridica con la vera religione, non condanna però quei governi che, per qualche grave ragione o di bene da ottenere, o di male da evitare, tollerano di fatto i differenti culti nel loro stato. – Così pure vuole assolutamente la Chiesa che nessuno sia tratto per forza ad abbracciare la fede cattolica, poiché come saggiamente avverte S. Agostino, “l’uomo non può credere se non di spontanea volontà”.

Allo stesso modo non può la Chiesa favorire quella libertà che porta l’uomo a sottrarsi alla legge santa di Dio e all’obbedienza alla legittima autorità. Questa sarebbe piuttosto licenza che libertà, e a buon diritto è chiamata da Agostino “libertà di perdizione”, e dall’apostolo Pietro un “velo della malvagità” (1Pt 2,16), che anzi, essendo fuori della retta ragione, si muta in vera schiavitù, in quanto “chi commette la colpa diviene servo della colpa” (Gv 8,34). Al contrario, libertà vera e desiderabile è quella che per l’individuo consiste nel non soggiacere alla durissima schiavitù dell’errore e delle passioni, e per la società consiste in un governo saggio che fornisca ai cittadini larghi mezzi per avvantaggiarsi, e difenda lo stato dall’altrui prepotenza.

Or questa libertà onesta e degna dell’uomo, la Chiesa è tra i primi ad approvarla, e fece ognora quanto era in poter suo al fine di assicurarla ai popoli salda e intera.

E per verità è un fatto consegnato alla storia, che tutte le istituzioni più efficaci a procurare la pubblica incolumità, le più idonee ad allontanare dai popoli il malgoverno e la tirannia, a impedire l’indebita ingerenza della stato nell’azione propria dei municipi e delle famiglie: le disposizioni più valide a garantire nei singoli cittadini la dignità, la personalità umana e l’uguaglianza dei diritti, o ebbero origine dalla Chiesa o furono da lei benedette e protette. Ella pertanto, sempre coerente a se stessa, se da un canto rigetta la soverchia libertà che in danno così dei privati come del pubblico va a finire nella licenza e nella schiavitù, dall’altro abbraccia di gran cuore e con giubilo i progressi che reca il tempo, purché veramente promettano di accrescere la prosperità della vita presente, la quale è come un tragitto che mette all’altra eternamente durevole.

La Chiesa e il progresso

È dunque vana e pura calunnia quella che si va spargendo, che la Chiesa veda di malocchio le moderne costituzioni e rigetti indistintamente i frutti maturati dall’ingegno dei contemporanei. Certo essa non vuol sapere di opinioni malsane, condanna la rea libidine delle rivoluzioni e specialmente quello stato d’indifferenza, che è il principio di una vera apostasia; ma poiché tutto quello che ha ragione di vero non può derivare che da Dio, perciò quanto le indagini dell’uomo conducono a scoprire qualcosa di vero, la Chiesa lo riconosce come un raggio della mente divina. E siccome non si può dare alcuna verità naturale che sminuisca la credibilità delle dottrine rivelate e molte anzi se ne danno che l’accrescono; e potendo la scoperta di qualsiasi vero condurre a meglio conoscere e lodare il Signore, così la Chiesa accoglierà sempre con suo giubilo e gradimento tutto ciò che venga utile ad allargare i confini della scienza, e con l’abituale zelo si impegnerà a caldeggiare e promuovere, come le altre discipline, così quelle che hanno per oggetto lo studio della natura. Nelle quali ricerche della scienza la Chiesa non osteggia le nuove scoperte, non impedisce che vieppiù si cerchi d’ingentilire e rendere agiata la vita; anzi, nemica dell’inerzia e dell’ozio, vuole che l’ingegno umano fruttifichi copiosamente mercé l’esercizio e la cultura: incoraggia ogni genere di arti e di mestieri; e con la sua virtù santificando il lavoro, fa il possibile perché l’uomo, nell’esercitare l’ingegno e la mano, non perda di vista Dio e i beni eterni.

Le cosiddette libertà moderne

Ma le cose finora trattate, pur così ragionevoli e giuste, sono meno gradite in questi tempi, in cui la società non solo sdegna di tornare ai dettami della sapienza cristiana, ma ha l’aria altresì di volersene ogni dì più allontanare.

Nondimeno poiché la verità messa in vista suol farsi strada da se stessa e grado grado insinuarsi nelle menti, compresi dal sentimento dell’eccelso e augusto Nostro ministero, vogliam dire dell’apostolato che esercitiamo nel mondo. Noi proclamiamo liberamente, com’è Nostro dovere, la verità: non già che ci sia sconosciuta l’indole dei tempi che corrono, o che riteniamo doversi ripudiare gli onesti e utili progressi dell’età moderna; ma perché vorremmo più sicuri dai pericoli e sopra più saldi basi costituiti gli stati e ciò senza punto menomare la giusta libertà dei popoli, poiché madre e tutrice fidissima della libertà umana è la verità: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

Doveri dei cattolici

Perciò in sì difficili condizioni i cattolici, se Ci daranno debitamente ascolto, comprenderanno facilmente quali doveri incombano a ciascuno, sia nell’ordine delle idee, sia in quello dei fatti.

E quanto alle idee è necessario ritenere nell’animo con saldo convincimento e, ogni qual volta occorra, professare apertamente tutto quanto insegnarono o saranno per insegnare i romani pontefici. E particolarmente rispetto a quelle che si suol chiamare libertà moderne, è d’uopo che ognuno se ne rimetta al giudizio della sede apostolica e non ne pensi diversamente da lei. Si ha da stare in guardia di non venire tratti in inganno dalla loro apparente onestà; e bisogna aver presente da qual germe esse nascono, e qual è lo spirito che le informa. Abbastanza ormai si sa per esperienza quel che debba aspettarsene la società, avendo esse dappertutto prodotto frutti dei quali ogni onesta e savia persona ha ragione di rammaricarsi.

Se realmente esista in qualche luogo, ovvero anche s’immagini un regime che perseguiti e tiranneggi la Chiesa, e con esso si paragonino i moderni sistemi di cui parliamo, potranno questi sembrar per essa meno tristi. Ma i princìpi sui quali essi si appoggiano sono, come abbiam detto, altamente riprovevoli.

Partecipazione agli affari pubblici

Quanto all’azione, essa può spiegarsi entro l’ambito individuale e domestico, o nel pubblico e sociale. – Nell’ordine individuale il massimo dei doveri è quello di conformare in tutto la vita e i costumi alle massime dell’Evangelo, e non tirarsi indietro quando accade che la virtù cristiana esige qualche sacrificio. Deve inoltre ciascuno amare la Chiesa come madre comune, osservarne fedelmente le leggi, curarne l’onore, volerne salvi i diritti; e cercare di farla rispettare e amare con pari affetto dai propri dipendenti.

È inoltre di pubblico interesse impegnarsi saggiamente in modo attivo anche nel campo amministrativo, dove una delle precipue cure sia quella di far in modo che si provveda all’educazione religiosa e morale dei giovanetti come si addice a cristiani, dal che dipende in gran parte il pubblico benessere.

Così pure, generalmente parlando, è utile e onesto che l’opera dei cattolici da questo campo men vasto si estenda più largamente fino allo stato. Diciamo generalmente in quanto la Nostra parola riguarda tutte le nazioni. Del resto può accadere in qualche luogo, che per gravissime e giustissime ragioni non sia opportuno partecipare agli affari dello stato, né di ricoprire cariche politiche. Ma generalmente, come si è detto, l’astensione totale dalla vita politica non sarebbe men biasimevole che il rifiuto di qualsiasi concorso al pubblico bene, tanto più che i cattolici, in ragione appunto dei loro princìpi, sono più che mai obbligati a comportarsi nel maneggio degli affari con integrità e zelo. All’opposto, tenendosi essi in disparte, arriveranno agevolmente al potere uomini, le cui opinioni non dànno molto a sperare per il bene dello stato. E ciò tornerebbe altresì a detrimento della religione; poiché moltissimo potrebbero coloro che odiano la Chiesa, pochissimo quei che l’amano. Perciò è evidente che i cattolici hanno buona ragione di prender parte alla vita politica: infatti non lo fanno, né lo devono fare, per sanzionare ciò che v’ha di riprovevole nei vigenti sistemi, ma bensì per far servire questi sistemi medesimi, per quanto è possibile, al genuino e vero bene pubblico, e con lo scopo di far circolare in tutte le vene del corpo sociale, come succo e sangue vivificatore, lo spirito e il benefico influsso delle Chiesa.

Non fu diverso il contegno dei cristiani nei primi secoli. Le massime e lo spirito della società pagana erano in opposizione diretta con lo spirito e con le massime dell’Evangelo; nondimeno si vedevano i cristiani, in mezzo alla superstizione incontaminati e sempre uguali a se stessi, introdursi coraggiosamente dovunque potessero. Esempio di fedeltà verso i prìncipi, obbedienti al comando delle leggi, quanto lo permettesse la coscienza, diffondevano dappertutto una meravigliosa luce di santità; si studiavano di venire in aiuto ai fratelli, di far proseliti; pronti d’altra parte a ritirarsi e morire da eroi, quante volte non avesser potuto, senza compromettere la coscienza, conservare gli onori, le magistrature, i comandi militari. In tal modo fecero in pochissimo tempo penetrare il cristianesimo non solo nelle famiglie, ma nella milizia, nel senato, e perfino nel palazzo imperiale. “Siamo da ieri, ed ecco che riempiamo tutti i luoghi che vi appartengono, le città, le isole, i castelli, i municipi, i circoli, le caserme stesse, le tribù, le decurie, il palazzo, il senato, il foro”, così che quando le leggi consentirono la pubblica confessione dell’Evangelo, non comparve la fede cristiana come bambina in culla, ma come adulta e ben robusta, in gran numero di città.

Unità di azione

Or questi esempi dei nostri antenati, le presenti condizioni esigono che si rinnovellino. – Anzitutto, quanti sono degni del nome di cattolici è indispensabile che siano e si mostrino apertamente amorosissimi figli della Chiesa; che rigettino da sé, senza punto esitare, tutto quello che è inconciliabile con tale professione; che volgano i politici ordinamenti, in quanto onestamente si può fare, a difesa della causa della verità e della giustizia; che si sforzino di ottenere che la libertà non trapassi mai i confini assegnati dalle leggi della natura e di Dio; che si adoperino a far ripiegare la presente società verso l’ideale sopra descritto della società cristiana.

Il modo pratico di venirne a capo mal potrebbe determinarsi con norme assolute, dovendo esso variare secondo la varietà dei luoghi e delle circostanze. Nondimeno si badi soprattutto di conservare l’accordo dei voleri e l’unità dell’azione. Ed entrambe queste cose pienamente si otterranno, se ciascuno terrà in conto di leggi le prescrizioni delle sede apostolica, e si porgerà docile verso i vescovi che “lo Spirito Santo pose a reggere la Chiesa di Dio” (At 20,28).

Fede integra

La difesa della fede cattolica richiede assolutamente che nel professare le dottrine insegnate dalla Chiesa siano tutti di un sentimento solo e di una incrollabile costanza; e da questo lato bisogna star bene in guardia di non lasciarsi andare a essere conniventi all’errore, o a opporgli più debole resistenza di quanto la verità non comporti. Intorno a dottrine opinabili si può disputare con moderazione e col desiderio di raggiungere il vero, tenendo però sempre lontani i sospetti ingiuriosi e le vicendevoli accuse.

Al qual proposito, affinché il capriccio delle recriminazioni non venga a scindere l’unione degli animi, ognuno si attenga a queste norme; cioè: che l’integrità della fede cattolica non è compatibile con le opinioni che inclinano al naturalismo o al razionalismo, le quali in sostanza non mirano ad altro che a rovinare l’edificio del cristianesimo e affermare nella società il principio dell’uomo indipendente da Dio.

Similmente: che non è lecito foggiarsi una norma di condotta per la vita domestica e un’altra per la vita sociale, rispettando l’autorità della Chiesa in privato, e disconoscendola in pubblico. La qual cosa tornerebbe ad accoppiare il turpe e l’onesto, e a mettere l’uomo in contraddizione con la propria coscienza, laddove invece egli deve essere sempre coerente a se stesso, né discostarsi mai in nessun caso o condizione di vita dalla virtù cristiana.

Carità nella lotta

Ove poi si ragioni di cose meramente politiche, come sarebbe della miglior forma di governo, se si debbano ordinar gli stati secondo questo o quel sistema, è fuor di dubbio che intorno a siffatti punti si può onestamente essere di diversi pareri. Perciò trattandosi di persone, di cui si conoscano i religiosi sentimenti e l’animo disposto a ricevere con la debita sottomissione le decisioni della Santa Sede, giustizia non vuole che siano chiamate in colpa per una differente opinione, che abbiano, circa le materie sopra indicate; e ingiustizia anche maggiore sarebbe muover loro l’accusa di violata o sospetta fede cattolica, come è avvenuto, con Nostro rammarico, più di una volta.

E questo si scolpiscano bene in mente quanti sono scrittori, e in maniera particolare i giornalisti. Nella lotta, che attualmente si combatte per cose della più alta importanza, bisogna assolutamente far tacere le intestine discordie e le gare di partito; e debbono tutti con lo stesso intendimento e con il medesimo spirito indirizzare le loro forze allo scopo comune, che è quello di mettere in salvo i grandi interessi religiosi e sociali. Se dunque vi furono dissidi per il passato, si seppelliscano in volontario oblio; se leggerezze, se torti, da qualunque parte siano stati, se ne faccia ammenda per via di carità reciproca, e si riscattino con atti di particolare ossequio verso la sede apostolica.

Per tal modo otterranno i cattolici due preziosi vantaggi: agevoleranno alla Chiesa la missione di fare e conservar cristiano il mondo, e nel tempo stesso renderanno il più segnalato servigio alla società civile, la cui salute è in pericolo per la prevalenza di dottrine sovversive e di ree passioni.

Ecco, venerabili fratelli, quanto Ci parve di dover additare alle genti cattoliche intorno alla costituzione cristiana della società, e ai doveri dei singoli cittadini.

Del resto è necessario implorare con insistenza l’aiuto di lassù, e pregare Dio che conduca egli a buon termine le aspirazioni e gli sforzi Nostri, indirizzati a promuovere la gloria sua e la salute del genere umano, egli che è lume agli intelletti e forza ai cuori umani. Come auspicio dei doni celesti e attestato della Nostra paterna benevolenza, impartiamo intanto affettuosamente nel Signore a voi, venerabili fratelli, al clero e a tutto il popolo affidato alla cura e vigilanza vostra, l’apostolica benedizione.

Roma, presso S. Pietro, il 1° novembre 1885, anno VIII del Nostro pontificato.

Leone PP.XIII