(Estratto da Sodalitium n°47, maggio 1998)
Don Ugolino Giugni
“Se tu conoscessi il dono di Dio” (Giov. IV, 10).
Perché parlare del Sacro Cuore di Gesù sulle pagine di Sodalitium? Per conoscere meglio “il dono che Dio” ci ha fatto rivelandoci la devozione al suo Sacro Cuore. E perché è giusto rendere a questo cuore “che tanto ha amato gli uomini” il nostro tributo di amore e devozione, specialmente all’approssimarsi del mese di giugno a Lui consacrato. Questo articolo non ha altra intenzione che quella di far conoscere un po’ di più e di diffondere questa devozione così bella e così consolante affinché il Cuore divino sia maggiormente amato dagli uomini; infatti anche del S. Cuore si può dire ciò che san Bernardo applicava alla SS. Vergine: “Numquam satis”. L’autore non si prefigge dunque di scrivere qualcosa di nuovo sull’argomento (poiché non ne sarebbe capace), bensì di mettere alla portata dei lettori quanto già abbondantemente è stato scritto, facendo particolare riferimento agli scritti di S. Margherita Maria Alacoque, la confidente del Cuore di Gesù.
Che cos’è la devozione al S. Cuore di Gesù?
Si potrebbe dire semplicemente che è la devozione verso Gesù. Il S. Cuore non è altro che Gesù Nostro Signore meglio compreso e meglio amato; il Salvatore più vicino alle sue creature; il suo amore che si rivela a noi. La S. Congregazione dei Riti dichiarò, istituendo la festa del S. Cuore, che essa non ha come fine di commemorare un mistero in particolare della vita di Nostro Signore bensì di compendiare tutte le feste in suo onore. Essa non ci ricorda una grazia determinata, ma la sorgente stessa di tutte le grazie; non un mistero in particolare ma il principio stesso e la ragione intima di tutti i misteri. Il motivo di questo culto risiede nel fatto che tutta la Redenzione, prima di essere realizzata esteriormente durante la vita in terra dell’Uomo-Dio, si era già compiuta interiormente ed invisibilmente nel santuario del suo Cuore.
Se tutte le altre feste in onore del Salvatore hanno come oggetto in una certa misura la carità di Cristo, nessun’altra come quella del S. Cuore vuole onorare la carità totale in se stessa, principio di tutti i misteri dell’Uomo-Dio.
«Dio è amore, Deus caritas est (I Giov. IV, 16). [E non si potrebbe trovare una definizione migliore di Dio, n.d.a.]. Il suo Cuore eterno ha amato da sempre; cercare in questo amore eterno di Dio il perché di tutta la successione dei misteri rivelati è la teologia del S. Cuore. – Dio ama, ed amare vuol dire donarsi. Ci ha donato tutto, ed ecco la creazione. – Amare vuol dire parlare, per farsi capire da chi ci ama: Dio ha parlato ed ecco la Rivelazione. – Amare vuol dire rendersi simili a colui che si ama, ed ecco l’Incarnazione. Amare vuol dire soffrire per colui che ci ama: ecco la Redenzione. – Amare vuol dire vivere vicino a colui che si ama: ecco l’Eucarestia. Amare vuol dire unirsi e non fare che una sola cosa con colui che si ama: ecco la Comunione. – Infine amare vuol dire gioire sempre con l’essere amato: questo sarà il Paradiso. Sic Deus dilexit.
E poiché la persona di Gesù è una persona divina il suo Cuore creato sintetizza tutti gli amori del cuore increato di Dio ed è il riassunto di tutte le sue manifestazioni… è l’espressione viva e palpitante di tutti i misteri cattolici » (1).
Ma in che senso va intesa la parola cuore? O meglio, in che senso l’intende la Chiesa quando ci invita ad onorare il Cuore di Gesù? L’oggetto della devozione consta di due elementi: l’elemento materiale, sensibile, immediato che è il cuore fisico di Gesù in quanto è unito ipostaticamente (2) alla persona del Verbo; questo Cuore se è considerato come simbolo dell’amore ne è l’elemento formale o spirituale. L’amore di Gesù è l’oggetto principale di questa devozione, ma visto che l’amore è assolutamente spirituale, è stato necessario trovargli un simbolo che naturalmente non può essere che il suo Cuore. Poiché l’uomo è composto di anima e di corpo questi due elementi si riflettono necessariamente in ogni sua attività (anche l’amare); quando l’uomo ama ragionevolmente, questa attività che procede dalla volontà determina altrettanti movimenti analoghi e correlativi nell’appetito inferiore, e quindi nel cuore. Ora il Signore Gesù era perfettamente uomo, e più che in ogni altro uomo il suo Cuore e i suoi sentimenti erano Vita Spirituale in completa armonia. Gesù diceva a S. Margherita “leggi nel libro dell’amore” (cioè il suo Cuore) “leggici il mio amore sofferente… le impressioni di disgusto, di terrore, di tristezza della mia vita mortale…”. Questo Cuore divino è ora sottratto alle emozioni violente e agli stati dolorosi incompatibili con il suo stato di gloria, ma resta sensibile a tutti quei sentimenti che non possono turbare la perfetta beatitudine del cielo; è per noi una dolce consolazione pensare che i nostri sacrifici, il nostro amore, il nostro affetto possano agire sul cuore di Gesù per farlo palpitare di una gioia amorosa.
L’elemento spirituale, l’Amore, che ha portato il Figlio di Dio ad accettare la morte e a darsi a noi nel SS. Sacramento dell’Altare, è incomparabilmente più importante dell’elemento materiale, così come nell’uomo l’anima è più importante del corpo. I due elementi sono però correlativi, costituiscono quindi un unico oggetto della devozione. Se noi consideriamo per primo il Cuore fisico di Gesù, per la legge del simbolismo esso ci condurrà direttamente all’Amore di Gesù. S. Margherita Maria così descriveva l’oggetto di questo culto: “Il mio divin Salvatore mi ha assicurata che Egli prova un grandissimo piacere ad essere onorato sotto la figura del suo Cuore di carne, per toccare tramite questo oggetto il cuore insensibile degli uomini”. È quindi al Cuore di Gesù vivo e vero, che fa parte della sua sacrosanta umanità, che fu trafitto sulla Croce e che vive nell’Eucarestia, che la Chiesa, S. Margherita M. e i fedeli pensano quando compiono una pratica in suo onore.
D’altra parte il Cuore di Gesù viene onorato in quanto è ipostaticamente unito alla sua Persona Divina: il termine di questo culto è sempre la persona di Gesù con la sua dignità infinita, increata e divina; ed il suo Cuore come parte della sua santissima umanità. “Il S. Cuore, presentato dalla Chiesa, al culto pubblico, è dunque Gesù che mostra il suo Cuore”. Davanti a noi viene posto il Cuore dell’Uomo-Dio che dall’alto del crocifisso con il petto squarciato attira a sé tutti i cuori (Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me Giov. XII, 32), con una forza che fa sprezzare il martirio, che esulta di fronte alla morte, che non conosce per confini né il tempo né lo spazio né l’odio dei malvagi.
Pio XII così sintetizza la legittimità del culto che viene reso al S. Cuore: «Nulla dunque ci vieta di adorare il Cuore sacratissimo di Gesù Cristo, in quanto è compartecipe e naturale e più espressivo simbolo di quella inesausta carità, che il divin Redentore nutre tuttora per il genere umano. Esso, infatti, benché non sia più soggetto ai turbamenti della vita presente, è sempre vivo e palpitante, e in modo indissolubile è unito alla Persona del Verbo di Dio e, in essa e per essa, alla divina sua volontà. Perciò, essendo il Cuore di Cristo ridondante di amore divino ed umano, e ricolmo dei tesori di tutte le grazie, conquistati dal Redentore nostro con i meriti della sua vita, delle sue sofferenze e della sua morte, è senza dubbio la sorgente di quella perenne carità, che il suo Spirito diffonde in tutte le membra del suo Corpo Mistico.
Nel Cuore pertanto del Salvatore nostro vediamo in qualche modo riflessa l’immagine della divina Persona del Verbo, come pure l’immagine della sua duplice natura, l’umana cioè e la divina; e vi possiamo ammirare non soltanto il simbolo ma anche quasi una sintesi di tutto il mistero della nostra redenzione. Adorando il Cuore sacratissimo di Gesù, in esso e per esso noi adoriamo sia l’amore increato del Verbo divino, sia il suo amore umano con tutti gli altri suoi affetti e virtù, poiché e quello e questo spinse il nostro Redentore ad immolarsi per noi e per tutta la Chiesa sua sposa, conforme alla sentenza dell’Apostolo: “Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei per santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua mediante la parola di vita, affinché la Chiesa gli potesse comparire davanti gloriosa, senza macchia, senza rughe o altre cose del genere, ma santa e immacolata” (Ef. V, 25-27)» (3).
Il S. Cuore di Gesù nel Vangelo
Dove trovare se non nel Vangelo il fondamento di questa devozione? Et verbum caro factum est. Et vidimus et credimus… (Il Verbo si è fatto carne… noi lo abbiamo visto e perché lo abbiamo visto abbiamo creduto Giov. I, 14; cf. I Giov. I, 1-2) ci dice l’Apostolo prediletto S. Giovanni Evangelista, che ha poggiato il suo capo sul cuore di Gesù durante l’ultima Cena.
Gesù ha detto ai suoi discepoli (e quindi anche a noi) “imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Matt. II, 28-30) per attirare la nostra attenzione sulle disposizioni interiori della sua anima santissima simbolizzata dal suo Cuore.
Apriamo dunque qualche pagina del Vangelo per scoprire il Cuore di Dio che vuole attirare gli uomini a sé con la sua bontà e misericordia.
Maria Maddalena. Gesù passò per le strade della Galilea e della Giudea facendo del bene (transiit benefaciendo…) e cercando delle anime da perdonare e da redimere. Alcune vennero a Lui spontaneamente per essere perdonate: una di queste fu Maria Maddalena, la peccatrice di Magdala. La stanchezza del peccato si era impadronita di lei, una grazia intima aveva sollecitato il suo cuore a ritornare al bene, una parola di Gesù, udita forse per caso, aveva fatto il resto vincendo le ultime resistenze. Venuta a prostrarsi ai piedi del Maestro e piangendo a calde lacrime, aveva fatto l’umiliante confessione delle sue colpe implorando il perdono del suo Signore. Questo perdono non si fece attendere; dopo aver spiegato al fariseo che l’ospitava che proprio colui al quale è stato condonato il debito maggiore ama di più, si rivolse con dolcezza alla Maddalena: “Donna ti sono perdonati i tuoi peccati” (Luc. VII, 48). Infatti “Molto le era stato perdonato perché molto aveva amato” (ivi, 46). Il Maestro adorabile aveva riconosciuto in lei un’anima ardente ed eletta, che il piacere può affascinare per un istante ma non appagare, e ne aveva fatto una conquista del suo amore infinito. Di una figlia peccatrice e perduta d’Israele, disprezzata dai superbi farisei, Gesù aveva fatto una santa, una perla per il suo Paradiso, un miracolo d’amore, la prediletta del suo Cuore, tanto a che a lei per prima (dopo la SS. Vergine) Gesù apparirà dopo la sua Resurrezione. La Maddalena è l’opera del perdono misericordioso del Salvatore.
Gesù dice: Zaccheo, presto discendi perché oggi devo fermarmi in casa tua. (Luc. XIX, 5)
Zaccheo. Egli aveva peccato, seguendo la via larga e facile, arricchendosi con mezzi più o meno leciti, e godeva della vita senza fastidi e senza rimorsi. Un giorno però una grazia segreta aveva sparso nella sua anima come un vago desiderio di una vita migliore. Il rumore dei miracoli di Gesù doveva esser giunto fino a lui, unito al desiderio di vedere il Maestro. Per fare ciò, poiché Gesù arrivava nella sua città, incurante del rispetto umano, era salito su un albero di sicomoro, essendo egli piccolo di statura. «È un tocco benevolo della grazia, che lo spinge a desiderare di vedere Gesù. Non è per parlargli; gli sembra di non avere nulla da dirgli; vuole soltanto vedere… Mentre l’osserva avanzarsi lentamente, circondato dalla folla, sente ad un tratto lo sguardo di Gesù fermarsi sopra di lui. Quello sguardo profondo, dolce e sfavillante di luce, che penetra fino in fondo all’animo lo commuove in modo insolito; ed ecco che si sente chiamare per nome. “Zaccheo – gli dice Gesù con infinita dolcezza – presto discendi perché oggi devo fermarmi in casa tua” (Luc. XIX, 5). Nella sua casa… sconvolto nel più intimo dell’anima da questa attenzione del Maestro non trova parole per rispondere. Corre a casa… fa tutto preparare… Gesù entra… che cosa succede in questo istante nell’anima di Zaccheo? Una viva luce gli rivela l’ingiustizia della sua vita; la bontà di Gesù, che si è degnato di sceglierlo per ospite nonostante il disprezzo generale di cui è oggetto da parte dei giudei, gli appare così misericordiosa e dolce, che il suo cuore ne è profondamente commosso. Alla vista di Gesù poveramente vestito, che vive d’elemosine e passa facendo del bene e spandendo la luce e la pace, la fronte serena, lo sguardo tutto pieno di misericordia e la mano sempre alzata per benedire, il ricco pubblicano comprende la vanità dei falsi beni in cui fino allora aveva riposta la sua felicità. Comprende che l’anima sua è fatta per qualche cosa di più grande, di più utile e di più buono. In piedi, davanti al Maestro con un cuore largo e una volontà interamente determinata al bene: “Ecco, dice, o Signore, do la metà dei miei beni ai poveri; e se ad alcuno ho tolto qualcosa, gli rendo il quadruplo” (Luc. XIX, 8) (…). Qual gioia prova Gesù nel vedere Zaccheo rispondere così fedelmente alla grazia! I suoi sguardi misericordiosi non si sono fissati invano su quell’anima, i suoi tentativi tutti pieni d’amore questa volta non sono stati respinti! Considerando l’opera sublime compiuta dalla misericordia, esclama: “Oggi questa casa ha ottenuto salute… anche questi è figliolo di Abramo” e poi soggiunge queste parole, splendido e divino sommario della sua propria vita: “Poiché il Figliuolo dell’uomo è venuto a cercare ciò che era perduto” (ivi 10)» (4).
La Samaritana. Non sempre Gesù trovava anime così pronte a corrispondere come quella di Zaccheo, alle volte doveva combattere per conquistarle, come nel caso della samaritana. Nella città di Sichar vi erano molte anime da salvare; nella sua misericordia Gesù aveva scorto una donna peccatrice, ed Egli voleva non solo ritrarla dal male ma farne l’apostola dei suoi concittadini. Gesù affaticato dal viaggio aveva lasciato che i suoi apostoli continuassero il cammino e si era seduto presso il pozzo di Giacobbe. Debolezza divina, stanchezza misteriosa che lo faceva venire meno sotto il peso dei peccati del mondo; aspettava l’anima per la quale tanto aveva già faticato ma che fino ad allora aveva resistito alla sua misericordia. La donna si avvicina per attingere acqua; discepola di erronee dottrine in quanto samaritana, un carattere tenace e portato al motteggio, una natura sensuale, nemica del lavoro, erano altrettanti ostacoli per il suo ritorno al bene. Ma Gesù medico delle anime, che è venuto non per quelle che stanno bene ma per quelle ammalate, è lì per salvarla.
«Il Maestro incomincia quindi con la peccatrice quel sublime colloquio che il santo Vangelo ci ha trasmesso. Il rispetto di Gesù per le anime, la rara prudenza che accompagna tutte le sue parole e tutti i suoi atti, la sua dolcezza, la sua pazienza e la sua umiltà non vi si rivelano meno che la sua profonda conoscenza dei cuori. Chiede dapprima alla Samaritana un leggero servizio. Sopporta senza scomporsi i suoi frizzi impertinenti. Penetra poco a poco nel suo spirito, eccitando con santa abilità la sua naturale curiosità. La conduce così a dichiarare l’irregolarità della sua posizione. Soltanto quando da se stessa ha detto: “Io non ho marito” (Giov. IV, I7), Gesù le fa vedere che conosce lo stato di peccato nel quale vive. Ma lo fa semplicemente, senza aggiungervi rimproveri, sapendo che essa non è capace di riceverli; senza ferirla con del disprezzo e neppur umiliarla con una sola parola dura. Questa dolcezza ammirabile, questo sguardo divino che legge nella sua anima, danno all’infelice donna, la confidenza d’interrogare Gesù, ed Egli, con bontà incomparabile, risponde alle sue domande, dissipa i suoi dubbi e illumina il suo intelletto. Quando si è così reso padrone del suo spirito, le dichiara la sua divina missione.
In preda alla più viva emozione essa ritorna in fretta alla città. Un turbamento strano s’è impossessato dell’animo suo; pensieri, mai prima d’allora avuti, l’assalgono. Sotto l’influenza della grazia un cambiamento, di cui non è ancora conscia, si va operando in lei. Rientrando in Sichar, si sente spinta a dire a tutti quelli che incontra: “Venite a vedere un uomo che m’ha detto tutto quello che ho fatto: che sia forse il Cristo?” (Giov. IV, 29). Non sa ancora se deve credere; ma già comprende che quell’uomo così puro, così grave e così dolce che le ha parlato sulla via, non è una creatura volgare, e vuole che gli altri ne giudichino.
La sera di quello stesso giorno, allorché, chiamato dagli abitanti, Gesù entrò in Sichar, ritrovò la peccatrice: la grazia onnipotente l’aveva trasformata. Venne allora da se stessa al suo caritatevole Salvatore, non per confessare colpe che già conosceva, ma per riceverne il perdono che la sua fede e il suo pentimento reclamavano e che il Cuore infinitamente buono di Gesù sospirava di darle. La misericordia aveva ancora una volta trionfato. Aveva fatto, di una creatura miserabile, nella quale tutto pareva impuro e viziato, un’anima arricchita dalla grazia, un apostolo della verità, un trofeo glorioso per Gesù. Aveva operato un nuovo miracolo.
E quando, due giorni dopo, Gesù si allontanò dalla città, coloro che Egli aveva attirati al suo Amore, illuminati della sua verità e salvati con la sua misericordia, gli diedero, per la prima volta con grido unanime il nome sì dolce di “Salvatore”.
Ben diciannove secoli hanno già ripetuto la parola dei fortunati Samaritani: “Questi è veramente il Salvatore del mondo!” (ivi, 42). Molti altri secoli, forse, la ripeteranno ancora e gli echi dell’eternità la ripercuoteranno senza fine! Sì, Gesù è il Salvatore del mondo, perché è la Misericordia; il mondo ha tanto bisogno di misericordiosi perdoni!» (5). È proprio parlando con la samaritana che Gesù pronuncia quelle ammirabili parole che così bene si possono riferire al S. Cuore: “Se conoscessi il dono di Dio, e chi è Colui che ti dice dammi da bere, tu stessa gli avresti fatta questa domanda, ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva (…). Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete; anzi l’acqua data da me diventerà in lui una sorgente d’acqua zampillante nella vita eterna” (Giov. IV, 10-14).
Gesù e la Samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio”
Tanti altri sono i passaggi dei Vangeli in cui più che altrove si scorge la bontà e misericordia del Sacro Cuore di Gesù. Ne sono un esempio le parabole del buon samaritano, del buon pastore, dell’adultera e tanti altri luoghi del Vangelo; citerò per finire soltanto il caso del buon ladrone. Egli è un criminale condannato a morte giustamente per le sue colpe e viene suppliziato assieme al Signore. Dismas (così si chiama) viene colpito dalla mansuetudine di Gesù, che invece di maledire perdona i suoi nemici: “Padre perdonate loro perché non sanno quello che fanno” (Luc. XXIII, 34). Queste parole di Gesù operano la conversione del delinquente poiché nulla di simile si era mai visto e udito sulla terra fino ad allora. Mosso a commozione, il buon ladrone dapprima rimprovera il compagno: “Neppur tu temi Dio? Tu che ti trovi qui a subire lo stesso supplizio. Per noi è giustizia perché riceviamo la pena dei nostri delitti, ma lui non ha fatto alcun male” (ivi 40-41); ed a Gesù dice: “Signore ricordati di me quando sarai giunto nel tuo regno”. Sono parole piene di grande umiltà (gli chiede soltanto di ricordarsi di lui, non si sente degno di chiedergli altro), speranza (parla del regno di Gesù che non vede con gli occhi del corpo; infatti che regno può avere in terra qualcuno che sta morendo nudo su una croce…) e fede (lo chiama “Signore” e crede nel suo regno nel quale Egli andrà dopo la morte). La risposta del S. Cuore è come sempre al di sopra delle aspettative del richiedente. A colui che gli chiede di ricordarsi soltanto di lui, Gesù dà il suo stesso regno: “In verità ti dico, questa sera stessa sarai meco in Paradiso”. Così perdona l’Agnello di Dio che è venuto a togliere i peccati del mondo. Tanto è grande la sua misericordia e bontà che permette al buon ladrone l’ultimo… furto, quello del cielo. Ma si tratta di un furto… che arricchisce il derubato, e rende il Salvatore pieno di gioia per quella prima anima che la sua Croce ha salvato facendola primo membro della sua Santa Chiesa, dopo la Santissima Vergine Maria.
I doni di Gesù: manifestazione del suo sacratissimo Cuore
La bontà e la misericordia del Signore si manifesta anche nei doni che ci ha lasciato prima di salire in cielo. Pio XII, al quale apparve il Sacro Cuore nel 1954 per guarirlo da una grave malattia scrisse (6), due anni dopo, l’enciclica “Haurietis Aquas” forse anche come ringraziamento per quella grazia. In essa leggiamo: «Ma è soprattuto sulla croce che il divin Redentore sente il suo Cuore, divenuto quasi torrente impetuoso, ridondare dei sentimenti più vari, cioè di amore ardentissimo, di angoscia, di misericordia, di acceso desiderio, di quiete serena, come ci manifestano apertamente le seguenti sue parole: “Padre, Perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc. XXIII, 34); “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt. XXVII, 46); “Ti dico la verità: oggi sarai meco in Paradiso” (Lc. 23, 43); “Ho sete” (Gv. XIX, 28); “Padre nelle tue mani raccomando lo spirito mio” (Lc. XXIII, 46).
E chi potrebbe degnamente descrivere i palpiti del Cuore divino del Salvatore, indizi certi del suo infinito amore, nei momenti in cui Egli offriva all’umanità i suoi doni più preziosi: Se stesso nel sacramento dell’Eucarestia, la sua santissima Madre e il sacerdozio?
Ancora prima di mangiare l’ultima Cena con i suoi discepoli, al solo pensiero dell’istituzione del sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, la cui effusione avrebbe sancito la Nuova Alleanza, il Cuore di Gesù aveva avuto fremiti di intensa commozione, da Lui rivelati agli apostoli con queste parole: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di patire” (Lc. XXII, 15); ma la sua commozione dovette raggiungere il colmo, allorché “prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo ‘questo è il mio corpo, il quale è dato a voi; fate questo in memoria di me’. E così fece col calice, dopo aver cenato, dicendo: ‘Questo calice è il nuovo patto del sangue mio, che sarà sparso per voi’” (Lc. XXII, 19-20). Si può quindi a buon diritto affermare che la divina Eucarestia, sia come sacramento che come sacrificio – nel primo si dà agli uomini, nel secondo si immola in perpetuo “da dove sorge il sole fin dove tramonta” (S. Agostino, De sancta virginitate, 6 – ML 40. 399) come pure il sacerdozio (7), sono doni palesi del Cuore Sacratissimo di Gesù.
Ma anche Maria, l’alma Madre di Dio e Madre nostra amantissima, è… un dono preziosissimo del Cuore Sacratissimo di Gesù. Era giusto, infatti, che colei, che era stata la genitrice del Redentore nostro secondo la carne, ed a Lui era stata associata nell’opera di rigenerazione dei figli di Eva alla vita della grazia, fosse da Gesù stesso proclamata madre spirituale dell’intera umanità» (8).
Origine di questa devozione
La devozione al Cuore di Gesù come molti dogmi e culti della Chiesa ha avuto nei secoli uno sviluppo omogeneo, per arrivare alla rivelazione vera e propria nel XVII sec. Forse il primo “devoto” del S. Cuore fu S. Giovanni che pose il suo capo sul costato del Salvatore durante l’ultima cena; è lui infatti che ci riferisce nel suo vangelo il colpo di lancia che aperse e ferì il petto del Signore Gesù (Giov. XIX, 31s). La maggior parte dei Padri della Chiesa nei loro commenti a questo passaggio evangelico non si riferiscono al cuore vero e proprio di Gesù «ma al seno, al petto, alla ferita del costato. Il passaggio era facile e spontaneo; tuttavia non sembra che i Padri lo abbiano compiuto. Hanno intravisto il Cuore, attraverso il petto squarciato, ma si sono arrestati sulla soglia del “Tempio di Dio”. Anche coloro che parlarono espressamente del “cuore”, non lo considerarono tuttavia come simbolo o emblema di amore, ma come figura, immagine, metafora delle affezioni dell’anima e quindi anche dell’amore. (…) Nella ferita del costato i Padri videro la sorgente della Chiesa e dei sacramenti… Dalle loro considerazioni teologiche e mistiche nascerà la devozione alle cinque piaghe, dalla quale più tardi si svilupperà la devozione al S. Costato: e proprio questa devozione a poco a poco svelerà alle anime il Cuore di Gesù ed il suo amore. Storicamente, la ferita del Costato ci appare come la provvidenziale e logica preparazione del culto al S. Cuore» (9).
È il Medioevo che segna l’inizio ed il primo costituirsi di questa devozione. «Il cristianesimo ormai vittorioso si rafforza nel pacifico possesso del suo credo e del suo culto. È il tempo dei grandi teologi e dei grandi mistici medioevali. Centro delle loro meditazioni è ancora il Cristo Redentore, però non è più la Divinità che maggiormente colpisce la loro intelligenza e il loro cuore, ma l’umanità di Gesù Salvatore, specialmente nei suoi misteri più umani: l’Incarnazione e la Passione: “perché Dio si è fatto uomo?”» (10). Per amore… risponderà il devoto del Sacro Cuore nei secoli successivi! Qualche esempio di questo periodo lo abbiamo in S. Anselmo († 1109) che dice: “Il dolce Gesù… nell’apertura del suo petto; quell’apertura infatti rivelò a noi le ricchezze della sua bontà, cioè l’amore del suo Cuore verso di noi” (11). S. Bonaventura poi († 1274) ci offre un’idea quanto mai esatta e completa di questa devozione; ne assegna il doppio oggetto, il fine, lo spirito, l’atto proprio e molti atti di devozione, per cui egli può essere collocato tra i primi devoti del Sacro Cuore (la Chiesa prende da lui alcune lezioni per l’ufficio della festa). In seguito due mistiche benedettine S. Geltrude († 1298) e S. Matilde († 1303) renderanno più calda questa devozione al Sacro Cuore, aggiungendovi una moltitudine di esercizi pratici. «Frequenti e svariatissimi sono gli atti di omaggio che esse indirizzavano al Cuore di Gesù: innumerevoli i favori specialissimi che ne ricevevano: scambio del cuore, riposo sul Cuore divino, insegnamenti spirituali, e soprattutto quelle rivelazioni che costituiscono la prima “teologia del Sacro Cuore”» (12). Un vero precursore di S. Margherita Maria fu certamente S. Giovanni Eudes (1601-1680) che la stessa Chiesa ha dichiarato “autore del culto liturgico dei SS. Cuori di Gesù e di Maria, il Padre, il dottore, l’apostolo di questo medesimo culto”. Ma la vera istitutrice, colei che per missione divina doveva diffondere nel mondo l’amore per il Sacro Cuore, è stata certamente S. Margherita Maria Alacoque.
La devozione al Sacro Cuore quindi non fu scoperta o inventata da S. Margherita Maria, la veggente di Paray-le-Monial; essa esisteva già prima di lei, ma non aveva ancora un largo e vivo influsso sulla massa dei fedeli e mancava di un contenuto ben determinato. Questo fu appunto il compito e la missione speciale che Iddio affidò a S. Margherita Maria: a lei fu riservato di far fiorire questa devozione in una maniera più manifesta, di accreditarla con una quantità di meraviglie, di dar luogo ad un culto pubblico e universale. Se la devozione al S. Cuore esisteva già prima di S. Margherita Maria, è difficile però dire quale fu l’influenza dei “precursori” su di lei. Con molta probabilità, secondo gli studiosi della sua vita, ella non ne lesse le opere e non ne subì alcun influsso, per cui si può concludere che “la devozione al S. Cuore ha per autore Gesù stesso. È lui che l’ha rivelata, che ne ha domandato l’istituzione, che ne ha spiegata la natura, che ne ha insegnata la pratica, che ne ha presentata la forma” (13). S. Margherita Maria fu quindi l’apostola ufficiale scelta da Gesù per far conoscere a tutti gli uomini gli abissi del suo amore infinito e per la diffusione di questo culto.
Nella vita autobiografica di S. Margherita Maria, che ella scrisse per obbedienza, leggiamo: « Una volta, dunque, mentre ero davanti al Santissimo Sacramento [il 27 dicembre 1673, n.d.a.] avendo trovato un po’ di tempo libero, poiché le occupazioni che mi si davano non me ne lasciavano affatto, mi sentii investita dalla divina presenza, ma così fortemente, che mi dimenticai di me stessa e del luogo dove ero, e mi abbandonai a quel divino Spirito, consegnando il mio cuore alla forza del suo amore. Egli mi lasciò riposare a lungo sul suo petto divino, dove mi fece conoscere le meraviglie del suo amore e i segreti inspiegabili del suo sacro Cuore, che mi aveva sempre tenuto nascosto, fino al momento in cui egli me lo manifestò per la prima volta. Lo fece in modo così effettivo e sensibile che non mi lasciò alcun dubbio, per gli effetti che questa grazia produsse in me (…).
Ed ecco come mi sembra sia accaduto. Egli mi disse: “il mio divin Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, e per te in particolare, che non può più contenere in se stesso le fiamme dell’ardente carità, e bisogna che le diffonda per mezzo tuo. Si manifesterà così agli uomini per arricchirli dei suoi preziosi tesori che io ti faccio vedere, e che contengono le grazie santificanti e salutari necessarie per sottrarli all’abisso di perdizione. Ti ho scelta come un abisso d’indegnità e d’ignoranza per il compimento di questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me”. Dopo mi chiese il cuore; io supplicai lo prendesse, come fece, e lo mise nel suo adorabile; in esso me lo fece vedere come un atomo che si consumava in quell’ardente fornace e da qui ritirandolo come una fiamma ardente in forma di cuore, lo rimise dove l’aveva preso, dicendomi: “Ecco, mia diletta, un prezioso pegno del mio amore, che racchiude nel tuo costato una scintilla delle sue più vive fiamme: è il tuo cuore, e ti consumerà fino all’ultimo momento. Il suo ardore non si estinguerà e potrà trovare qualche poco di conforto solo nel farti togliere sangue, ma io lo segnerò talmente con la mia croce insanguinata, che ti causerà più umiliazioni e sofferenze che sollievo. Perciò voglio che tu ciò chieda semplicemente, tanto per mettere in pratica ciò che vi è comandato, quanto per darti la consolazione di spargere il sangue sulla croce delle umiliazioni. Come prova che la grande grazia che ti ho fatto or ora non è una immaginazione e che, anzi, è il fondamento di tutte quelle che ti farò, per quanto ti abbia chiuso la ferita del costato, il dolore ti rimarrà sempre; mentre fino a oggi hai preso il nome di mia schiava, ora io ti do quello di Discepola diletta del mio sacro Cuore”.
Dopo un favore così grande, e che continuò per tanto tempo, durante il quale non sapevo se fossi in cielo o in terra, restai diversi giorni come infiammata e inebriata. Ero talmente fuori di me, che non potevo riprendermi, tanto che, per dire una parola, mi facevo violenza e dovevo farmene molta, per prender parte alla ricreazione e ai pasti in comune. Il dolore mi era intollerabile, perché ero stremata di forze: questo mi causava una cocente umiliazione. Non potevo dormire, poiché questa ferita il cui dolore mi è così prezioso, mi causa un fervore così straordinario che mi consuma e mi fa bruciare viva. Sentivo in me una così grande pienezza di Dio che non potevo spiegare alla Superiora, come desideravo. L’avrei fatto, per quanta pena e confusione queste grazie mi facessero provare mentre le raccontavo. La mia grande indegnità, mi avrebbe fatto mille volte piuttosto raccontare i miei peccati a tutti. Sarebbe stata per me una grande consolazione, se mi si fosse permesso di farlo e di leggere ad alta voce in refettorio la mia confessione generale, e far vedere il grande fondo di corruzione che è in me, affinché non mi si attribuisse nulla delle grazie che ricevevo.
Santa Margherita Maria Alacoque
(1647-1690)
La grazia di cui ho appena parlato riguardo al dolore del costato mi era rinnovata i primi venerdì del mese in questo modo: il Sacro Cuore mi era presentato come un sole scintillante di una luce sfolgorante, i cui raggi ardenti mi cadevano perpendicolarmente sul cuore. Me lo sentivo dapprima incendiato di un fuoco così ardente che mi sembrava di stare per esser ridotta in cenere. Particolarmente in quel tempo il divino Maestro m’insegnava che cosa voleva da me e mi rivelava i segreti di quell’amabile Cuore.
Una volta, fra le altre, che il Santissimo Sacramento era esposto, dopo essermi sentita rinchiudere in me stessa con un raccoglimento straordinario di tutti i miei sensi e potenze, Gesù Cristo, mio dolce Maestro, si presentò a me tutto splendente di gloria con le cinque piaghe brillanti come cinque soli. Da questa sacra Umanità uscivano fiamme da ogni parte, ma soprattutto dall’adorabile petto, che somigliava una fornace. Essendosi aperta, mi mostrò il suo amatissimo Cuore che è la viva sorgente di queste fiamme.
Allora mi mostrò le meraviglie inspiegabili del puro amore, fino a quale punto l’aveva portato ad amare gli uomini, dai quali riceveva ingratitudini e sconoscenza. “Questo mi causa molto più dolore”, mi disse, “che quanto ho sofferto durante la Passione; tanto che se essi ricambiassero in qualche modo il mio amore, stimerei poco quanto ho fatto per loro, e vorrei se fosse possibile far ancora di più; ma essi rispondono con freddezze e con ripulse a tutte le mie premure di far loro del bene. Tu, almeno, fammi il piacere di supplire alle loro ingratitudini per quanto ti riuscirà”. E mostrandogli la mia impotenza mi rispose: “Ebbene, ecco di che supplire a tutto ciò che ti manca”. E nello stesso tempo quel divin Cuore si aprì. Ne usci una fiamma così ardente che io pensai di esserne consumata. Ne fui tutta penetrata, e non potevo più sostenerla, allora gli chiesi di avere pietà della mia debolezza. “Io sarò la tua forza”, mi disse, “non temere nulla, ma sii attenta alla mia voce e a quanto ti chiedo per disporti al compimento dei miei disegni. Per prima cosa, mi riceverai nel santo Sacramento quando l’ubbidienza te lo vorrà permettere, per quante mortificazioni e umiliazioni te ne potranno derivare; tu devi riceverle come pegni del mio amore. Farai la comunione specialmente i primi venerdì di ogni mese. Tutte le notti dal giovedì al venerdì ti farò partecipare a quella mortale tristezza che ho voluto sentire nell’orto degli Ulivi; questa tristezza ti porterà, senza che tu la possa capire, a una specie di agonia più difficile a sopportare della morte. Per accompagnarmi nell’umile preghiera che presentai allora al Padre fra tutte le mie angosce, ti alzerai fra le undici e mezzanotte, per prostrarti un’ora con me, col viso contro terra, sia per calmare la collera divina, chiedendo misericordia per i peccatori, sia per addolcire in qualche modo l’amarezza che sentivo; l’abbandono da parte degli apostoli, mi obbligò infatti a rimproverarli di non aver potuto vegliare un’ora con me. Durante quest’ora tu farai ciò che t’insegnerò. Ma, ascolta, figlia mia, non credere leggermente a ogni spirito e non fidarti; poiché Satana digrigna i denti e si strugge d’ingannarti; e perciò non fare nulla senza l’approvazione di chi ti guida affinché avendo con te l’autorità dell’ubbidienza, egli non ti possa ingannare dal momento che non ha potere su chi ubbidisce”» (14). In un’altra apparizione Gesù disse: “Nell’eccesso della mia misericordia, ho voluto negli ultimi tempi, manifestare agli uomini, i tesori infiniti del mio Sacro Cuore”. La rivelazione del Sacro Cuore ha origine, secondo le parole stesse del Signore, quindi dall’eccesso della sua misericordia per gli uomini.
Carattere e fine della devozione al S. Cuore
Dopo aver letto le consolanti parole della rivelazione del S. Cuore, vediamone ora il carattere. La devozione al Sacro Cuore è essenzialmente, come abbiamo visto, una devozione di amore, un culto all’amore di Dio. L’amore vuole l’amore “chi non ama rimane nella morte” (I Giov III, 14). Solo chi ama dà veramente tutto, perché amando dona se stesso, e il Cuore di Gesù è un cuore umano che chiede solo amore. Egli stesso lo rivelò a S. Matilde “non mi manca che il cuore dell’uomo”. In effetti essendo Dio Egli ha tutto, nulla gli manca, nulla può mancargli, c’è soltanto il cuore dell’uomo che essendo stato creato libero, può resistere all’amore di Gesù. La devozione al Sacro Cuore è la rivelazione dell’Amore infinito di Dio per indurre l’uomo ad uno scambio d’amore. I Papi incoraggiando questo culto al Sacro Cuore di Gesù hanno insegnato questa verità. Leone XIII disse: «Gesù non ha desiderio più ardente che di veder acceso nelle anime il fuoco d’amore di cui il suo stesso Cuore è consumato. Andiamo dunque a Colui che, come prezzo della sua carità, non ci domanda altro che corrispondenza d’amore» (15). Pio IX nel breve di beatificazione di S. Margherita Maria disse: «Gesù, l’autore e il consumatore della nostra fede, ha desiderato sopra ogni cosa di accendere nel cuore degli uomini la fiamma della carità che consumava il suo Cuore. Egli stesso (è il Vangelo che lo attesta) ne assicura i suoi discepoli: “sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che voglio se non che si accenda?” (Luc. XII, 49). Ora per propagare sempre più questo incendio d’amore, egli ha voluto che il culto del suo Cuore fosse istituito nella Chiesa e sparso per ogni dove». Infine Pio XII disse: «questo strettissimo nesso, che secondo le parole della Sacra Scrittura (“La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato”, Rm. V, 5) vi è tra la carità che deve ardere nei cuori dei cristiani e lo Spirito Santo, ch’è l’Amore per essenza, ci manifesta in modo mirabile… l’intima natura stessa di quel culto al Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo. Se è vero infatti, che questo culto è… consacrazione da parte nostra all’amore del Redentore divino… è vero parimente ed in un senso ancora più profondo, che tale culto è il ricambio dell’amore nostro all’Amore divino. Poiché soltanto per effetto della carità si ottiene la piena e perfetta sottomissione dello spirito umano al dominio del supremo Signore, allorché cioè gli affetti del nostro cuore aderiscono alla divina volontà in modo da formare con essa quasi una cosa sola, secondo che è scritto: “chi aderisce al Signore forma un solo spirito con Lui” (I Cor. VI, 17)» (16).
Il Sacro Cuore di Gesù appare a S. Margherita Maria
Il Sacro Cuore vuole regnare nel cuore dell’uomo perché possedendone il centro, il motore di ogni attività, possiede tutto l’uomo. «Ma l’amore non si conquista che con l’amore! Da profondo conoscitore del cuore umano, Dio ha voluto conformarsi ad una mirabile e universale legge di psicologia: “Se vuoi essere amato, ama!” Egli poteva imporci di amarlo: era suo diritto. Ma all’amore non si comanda! E allora Dio ha preferito scegliere un’altra via, una via più consona alla natura stessa dell’amore: “Ci ha amati lui per primo” (I Giov. IV, 10), “affinché – spiega S. Agostino – se stentiamo ad amarlo, almeno non esitiamo a riamarlo amante”, perché di tutti i motivi che spingono ad amare, il più efficace è quello di essere prevenuto nell’amore. Certo ha cuore troppo duro chi non volendo accordare il suo amore come dono, rifiuta ancora di darlo come pagamento di un debito. Quando Dio ha voluto ridestare nel cuore dell’uomo, agghiacciato dall’eresia giansenista, il suo amore per lui, è ricorso di nuovo al mezzo più avvincente e persuasivo: di svelargli, un’altra volta l’immenso amore del suo Cuore per lui. All’amore non si resiste “l’amore sopporta tutto” (cf. I Cor. XIII, 7). La devozione al Sacro Cuore (…) è una mirabile catena d’oro che lega e stringe insieme il Cuore di Dio e quello dell’uomo. Se è vero che la religione è l’incontro di due cuori… allora con ragione Pio XI chiama la nostra “sintesi di tutta la religione”… riservata dalla Provvidenza per donare luce e calore a tutto il dogma, a tutta la morale cristiana» (17).
Se questo amore “misconosciuto” e oltraggiato di Dio è la nota dominante della devozione al S. Cuore, l’amore da parte dell’uomo non può essere che un amore riparatore. L’uomo decaduto dopo Adamo deve tener conto della sua condizione di peccatore e quindi in una certa maniera, amando intende risarcirlo del torto fattogli, mentre Dio continua ad amare l’uomo di un amore di misericordia. La misericordia infatti è una parola latina che significa un Cuore (quello divino) che si piega su una miseria naturale (quella dell’uomo peccatore). Nella rivelazione del Sacro Cuore a S. Margherita Maria e nelle richieste che Egli le fa, la riparazione sembra presentarsi come il primo e più essenziale atto di devozione. La devozione al S. Cuore è quindi amore di Dio, che chiede e cerca l’amore riparatore dell’uomo.
Pratica di questa devozione
Come si può praticare questa devozione senza conoscerla? È necessario uscire dal nostro torpore ed avvicinarci a Gesù nella meditazione e nella preghiera, per avere “quegli stessi sentimenti che sono propri di Gesù” (Phil. II, 5) e quindi del suo Sacro Cuore. Altrimenti saremmo meritevoli del rimprovero che lo stesso Signore faceva alla samaritana: “voi adorate quel che non conoscete…” (Giov. IV, 22). Sarà nel raccoglimento della preghiera e nell’assistenza (o celebrazione, per i sacerdoti) della santa Messa che troveremo il S. Cuore. Disce Cor Dei in verbis Dei (impara il cuore di Dio nella parola di Dio) dice S. Bernardo. E dopo averlo conosciuto potremo conformarci ad esso, poiché è proprio a questa conformità che deve tendere la devozione al Sacro Cuore.
Se Dio “ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del figlio suo” (Rom. VIII, 29) come dice S. Paolo, qual è l’immagine del Figlio alla quale tutti quelli che vogliono pervenire alla salvezza eterna devono conformarsi, se non il Sacro Cuore di Gesù? Così infatti il Signore Gesù parla al devoto: «Non tutti possono imitare le mie azioni esteriori, né fare i miracoli che io ho fatti. La diversità delle vocazioni non permette neppure a tutti di seguire il mio genere di vita esteriore; ma tutti, grandi e piccoli, dotti ed ignoranti, possono e devono imitare i sentimenti del mio Cuore, qualunque sia la loro condizione. Se dunque vuoi salvarti bisogna che divenga conforme al mio Cuore, bisogna che il tuo cuore provi i medesimi sentimenti che il mio. Quand’anche tu avessi distribuito tutti i tuoi beni ai poveri, macerato il tuo corpo colle più dure austerità. Penetrato tutti i misteri, operato i miracoli più strepitosi, se il tuo cuore non fosse simile al mio, tu non saresti ancor nulla, e tutto ti sarebbe inutile per l’eternità. È sulla conformità al mio Cuore che sarai giudicato; quella fisserà il tuo eterno destino. (…) Così, tutto ciò che farai non ti gioverà a nulla se non lo fai secondo il mio Cuore. (…) Quanto più ti conformerai al mio Cuore, tanto più assicurerai la tua salute» (18).
Inoltre sarebbe una grave illusione lasciare questa conoscenza del Cuore di Gesù che si acquisisce nel conformarsi a Lui, ad un livello puramente teorico. S. Giacomo (II, 26) infatti ci ammonisce “che la fede senza le opere è morta”. La vera devozione al S. Cuore esige una riforma dell’intelligenza ed una trasformazione morale.
La prima immagine del S. Cuore, disegnata su indicazione di S. Margherita Maria, venerata già al suo tempo nella Visitazione di Paray-le-Monial e conservata oggi nella Visitazione di Torino
«Essere devoti al S. Cuore significa conoscerLo e farLo conoscere, difenderne i diritti, promuoverne il culto, predicarne le glorie.
Essere devoti al Sacro Cuore vuol dire cercare nel Cuore fisico di Gesù l’amore che ha dato al mondo l’Eucarestia; vuol dire studiare ai piedi del tabernacolo quella carità divina che ha rivelato agli uomini il S. Cuore.
Ma non è ancora tutto. Essere devoti al S. Cuore, vuol dire praticare questa devozione con l’entusiasmo dell’amore; se ci si accontenta di subirla con una certa rassegnazione essa non produrrà i suoi frutti; essa non è un fuoco che vegeta sotto la cenere ma piuttosto una fiamma che si innalza ardente e gioiosa.
Essere devoti del Sacro Cuore, vuol dire vivere la propria devozione. Non basta amare il Sacro Cuore, è necessario vivere con Lui una vita intima, in una dolce familiarità; non fare nulla senza consultarlo, nascondere in Lui noi stessi, i nostri talenti, i nostri desideri affinché egli sia glorificato in tutte le nostre opere “bisogna che egli cresca e io diminuisca” (Giov. III, 30). Bisogna inoltre studiare le sue virtù, quelle della sua vita mortale, quelle della sua vita eucaristica, appropriarsene, amarle, praticarle per amor suo e per la sua gloria, professare per tutte le parole uscite dalla sua bocca lo stesso rispetto che ce lo fa adorare nei più piccoli frammenti dell’Ostia santa.
Essere devoti del Sacro Cuore significa compatire le sue pene e darsi al dovere della riparazione in una maniera affettiva ed effettiva, efficace e costante, intelligente e generosa, per espiare i crimini mostruosi con i quali i suoi nemici insultano il suo nome, violano i suoi comandamenti, profanano il sacramento dell’amore e perseguitano la sua Chiesa; è ancora offrirgli delle compensazioni per le colpe più o meno gravi, ma di fatto dolorose commesse da tutti quelli che dovrebbero essere suoi amici.
Essere devoti del Sacro Cuore vuol dire accettare i sacrifici più faticosi con viso sereno, conservare la pace e la gioia anche quando il cuore sanguina, cercando in tutto la sua più grande gloria. “Colui che dice di conoscerlo…” – ha scritto l’apostolo dell’amore – e “non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo…” (I Giov. II, 4).
Essere devoti del Sacro Cuore significa partecipare alla sua agonia ed alle sue gioie, bruciare dal desiderio di farlo conoscere e di espandere il suo regno, di glorificare il suo nome, di fare la sua volontà, di salvare le anime (…).
Essere devoti del Sacro Cuore vuol dire amare appassionatamente la sua santa Chiesa, fiore verginale nato nel suo sangue, e unirsi ad essa tramite l’adesione perfetta ai suoi insegnamenti e la sottomissione al suo capo. È ancora amare la vita interiore, la vita nascosta, il silenzio, il raccoglimento, la mortificazione. Vuol dire inoltre amare le anime… amarle sempre nell’immolazione continua, perpetua e totale dei nostri gusti, delle nostre idee e del nostro benessere» (19).
Da quanto esposto finora possiamo concludere che essere devoti del S. Cuore vorrà dire soprattutto praticare una devozione riparatoria che si può esprimere in alcuni atti principali: compensare Gesù del disonore arrecatogli e consolarlo per la tristezza che gli causa il peccato [riparazione affettiva], far rinascere nel prossimo la vita della grazia con lo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime [riparazione effettiva]. Infine bisognerà espiare i propri e gli altrui peccati, sottoponendosi volontariamente alla pena e al dolore [riparazione afflittiva]. Il passaggio dall’uno all’altro grado è facile e spontaneo.
Sono tre anelli dell’unica catena dell’amore, che da affettivo diventa operativo e afflittivo, che cioè dal cuore passa alle opere, fino a consumarsi nell’immolazione, poiché la fede senza le opere sarebbe morta.
Le promesse del S. Cuore. Conclusione
Nella pratica della devozione al S. Cuore un discorso particolare meritano le “promesse” che Gesù fece a S. Margherita Maria e a tutti i devoti del S. Cuore. Esse costituiscono un fatto singolare e il Signore le ha volute certamente per attrarre maggiormente gli uomini al suo amore infinito.
Il Sacro Cuore rivelandosi a S. Margherita M. non si è limitato ad accennare in generale ai benefici ed ai frutti meravigliosi che la nuova devozione avrebbe portato ma volle specificarli secondo i bisogni delle anime e lo fece tramite le ormai famose e consolanti “dodici promesse”. La stessa Santa rimase confusa e rapita da tanta bontà e come lei devono fare tutti gli uomini. Mi limiterò qui a riportare le dodici “promesse” del Signore, facendole poi oggetto di studio e commento in un altro articolo assieme alla pratica dei nove primi venerdì del mese.
Se questo articolo (che certamente non ha potuto trattare in maniera esaustiva l’argomento) avrà acceso nel cuore dei lettori una scintilla di carità ardente per l’amore infinito di Dio, l’autore si reputerà contento per aver conseguito il fine che si era proposto, perché si compiranno le parole di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che voglio se non che si accenda?”. Amiamo un po’ di più questo Cuore amorosissimo e facciamolo riamare dagli altri; Egli sarà la nostra consolazione in questa vita e il nostro premio nell’altra…
Sacro Cuore di Gesù confido in voi!
Sacro Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, rendete il mio cuore simile al vostro!
Le dodici Promesse del S. Cuore di Gesù
1. Darò ai miei devoti tutte le grazie necessarie al loro stato.
2. Metterò la pace nelle loro famiglie.
3. Li consolerò in tutte le loro afflizioni.
4. Sarò il loro rifugio in vita e specialmente in punto di morte.
5. Spanderò abbondanti benedizioni sopra le loro imprese.
6. I peccatori troveranno nel mio Cuore la fonte e l’oceano della misericordia.
7. Le anime tiepide diverranno fervorose.
8. Le anime fervorose saliranno presto a grande perfezione.
9. Benedirò i luoghi ove sarà esposta ed onorata l’immagine del mio S. Cuore.
10. Darò ai Sacerdoti il dono di commuovere i cuori più induriti.
11. Le persone che propagheranno questa devozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non sarà cancellato giammai.
12. Io ti prometto, nell’eccessiva misericordia del mio Cuore, che il Suo Amore onnipotente accorderà a tutti coloro che si comunicheranno per nove primi venerdì di seguito la grazia della penitenza finale. Essi non morranno in mia disgrazia, ne senza ricevere i loro Sacramenti, perché il mio Cuore diventerà il loro sicuro asilo in quell’ultimo momento.
Note:
1) Manete in Dilectione mea, Paray-le-Monial 1925, pag. 16-17.
2) Ipostaticamente dal greco upostasia = substantia = supposito, soggetto sussistente, quindi persona. Unione ipostatica quindi sta ad indicare l’unione nella persona di Gesù della natura divina con quella umana tramite l’Incarnazione.
3) Pio XII, lettera enciclica Haurietis aquas, del 15 maggio 1956, in Insegnamenti Pontifici, Edizioni Paoline Roma 1964 – Le fonti della vita spirituale libro I nn. 295-296. Sempre sul Sacro Cuore si può consultare la bellisima enciclica di Pio XI Miserentissimus Redemptor noster dell’8 maggio 1928, sempre in I. P. nn. 211-240.
4) Luisa M. Claret de la Touche, Il S. Cuore e il sacerdozio, S.A. IP. Treviso 1929, pagg. 43-46. Si tratta di un libro bellissimo di cui si può consigliare la lettura anche ai laici. Tantissimi sono in esso gli spunti per la meditazione quotidiana. Si vede che è stato scritto da una vera discepola dell’amore infinito.
5) Ibidem, pagg. 48-51.
6) Questa apparizione avvenne probabilmente ai primi del dicembre 1954 quando Papa Pacelli era gravemente malato, i medici non davano più speranze, e tutto il mondo cattolico pregava e offriva sacrifici per la sua guarigione. Mentre Pio XII si trovava a letto da solo nella sua stanza e recitava come era solito fare la bella preghiera di S. Ignazio “Anima Christi” arrivato alle parole “et jube me venire ad Te” vide il Sacro Cuore in piedi a fianco del suo letto. Il Signore lo rincuorò facendogli capire che la sua ora non era ancora venuta, di fatto la salute di Pio XII a partire da quel momento cominciò a migliorare, e egli poté riprendere poco a poco tutte le sue attività. Il Papa stesso confidò la visione a Mons. Tardini e Suor Pasqualina. La notizia fu rivelata al mondo intero dal settimanale “Oggi” nel 1955, e non fu mai smentita dalla sala stampa vaticana. (Cf. Robert Serrou, “Pie XII le pape roi”, Perrin Paris 1992).
7) M. de la Touche chiama l’Eucarestia e il sacerdozio “creazione dell’amore infinito” e dono della misericordia del Sacro Cuore che “un giorno sentì l’Amore infinito traboccare dal suo Cuore; e volendo creare un essere che potesse continuare l’opera sua e sovvenire i bisogni dell’uomo; un essere che fosse in grado di aiutarlo quest’uomo, sostenerlo, illuminarlo e avvicinarlo a Dio, creò il sacerdote!” (op. cit., pag. 8).
8) Pio XII, Haurietis aquas, op. cit., nn. 286-288.
9) P. Agostini S.C.J., “Il Cuore di Gesù – Storia Teologia pratiche promesse”, Studentato delle Missioni Bologna 1950, pagg. 25-26.
10) P. Agostini S.C.J., op. cit., pag. 27.
11) 10a meditazione in Migne P. L. 158 Col. 762 A.B.
12) P. Agostini S.C.J., op. cit., pag. 31.
13) P. Gallifet Giuseppe, Eccellenza e pregi della devozione al S. Cuore, Venezia Angelo Gatti 1787, pag. 12. Citato in P. Agostini S.C.J., op. cit.
14) “Vita di Santa Margherita Maria Alacoque scritta da lei stessa” in “Vita e opere di Santa Margherita Maria Alacoque”, edizioni Centro volontari della Sofferenza, Roma 1985, pagg. 51-55.
15) Leone XIII enciclica del 28 giugno 1889.
16) Pio XII, Haurietis aquas, op. cit., n. 244.
17) P. Agostini S.C.J., op. cit., pagg. 158-159. Per la citazione di S. Agostino il riferimento è il seguente: de catechizandis rudibus, c. 4 n. 7 in R.J. 1589.
18) P. Arnold D.C.D.G., Imitazione del Sacro Cuore di Gesù, Marietti Torino-Roma 1924. Capo IV.
19) Manete in Dilectione mea, op. cit, pagg. 26-28.