La rinuncia di Joseph Ratzinger

→ ascolta questo comunicato su YouTube

La mattina di questo 11 febbraio 2013, durante il Concistoro, Benedetto XVI ha annunciato la sua “rinuncia al ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro”, precisando che la Sede sarà effettivamente vacante a partire dal 28 febbraio, alle ore 22.

Ratzinger&rabbi

Unica motivazione data per questa decisione: l’ingravescentem ætatem, ovverosia l’età avanzata (e non è dato sapere dell’esistenza di altri motivi).

La rinuncia al Sommo Pontificato è prevista – come possibilità – dal canone 221 del codice di diritto canonico promulgato da Benedetto XV, per cui, di per sé, una decisione di questo genere non altera la divina costituzione della Chiesa, pur ponendo delle gravissime difficoltà di ordine pratico. È ben noto perciò che le rare rinunzie del passato avvennero in circostanze di particolare gravità nella storia della Chiesa, per cui il gesto compiuto oggi da Benedetto XVI non può essere paragonato a quelli del passato.

Si tratta invece – come lo suggeriscono le parole stesse adoperate, ingravescentem ætatem – della volontà di applicare anche all’ufficio papale quanto già il Vaticano II (col decreto Christus Dominus) e Paolo VI (Motu proprio Ecclesiæ Sanctæ del 6 agosto 1966; Motu proprio Ingravescentem ætatem del 21 novembre 1970) avevano deciso per i Parroci, i Vescovi e i Cardinali (dimissioni al compimento dei 75 anni; esclusione dal Conclave al compimento degli ottant’anni per i Cardinali).

Quelle decisioni conciliari e montiniane non avevano solo lo scopo pastorale dichiarato di evitare di avere pastori inabili al ministero per l’età avanzata (e quello non dichiarato di allontanare eventuali oppositori alle riforme), ma quello di trasformare – almeno di fatto e agli occhi del mondo – una sacra gerarchia in un amministrazione burocratica simile alle amministrazioni di governo dei moderni stati democratici, o ai ministeri pastorali sinodali delle sette protestanti. Oggi Joseph Ratzinger porta a compimento la riforma conciliare applicando anche alla sacra dignità del Sommo Pontificato le moderne categorie mondane e secolari di cui sopra, equiparando anche in ciò il Papato Romano all’episcopato subalterno. È molto probabile che l’odierna decisione, infatti, diventi come moralmente obbligatoria per i successori, facendo del Papato un incarico “a tempo” e provvisorio di presidente del collegio episcopale o, perché no, del concilio ecumenico delle chiese.

All’inizio del suo “pontificato”, Benedetto XVI insistette infatti sull’aspetto collegiale dell’autorità della Chiesa: il Vescovo di Roma è il presidente del collegio episcopale, un Vescovo tra i Vescovi; al termine del suo “governo”, Joseph Ratzinger ha voluto presentare – come un qualsiasi vescovo conciliare – le sue dimissioni.

Ma il 19 aprile 2005, quando Joseph Ratzinger fu eletto al Sommo Pontificato dal Conclave, accettò veramente, e non solo esteriormente, l’elezione? Secondo la tesi teologica messa a punto da Padre M.L. Guérard des Lauriers o.p. (nei confronti di Paolo VI e dei suoi successori) questa accettazione non poté che essere esteriore e non reale ed efficace, in quanto l’eletto ha dimostrato di non avere avuto, né allora, né in seguito, l’intenzione oggettiva e abituale di provvedere al bene della Chiesa e di procurare la realizzazione del suo fine. Da quel giorno, Joseph Ratzinger fu sì l’eletto del conclave, ma non formalmente il Sommo Pontefice che governa la Chiesa “con” il suo Capo invisibile, Nostro Signore Gesù Cristo. Con la decisione odierna, in sintonia con la dottrina e la disciplina conciliare e col vivo sentimento antipapale ereditato in lui dal protestantesimo tedesco e dal modernismo agnostico del quale è stato e resta massimo esponente, Joseph Ratzinger ha solo reso esplicito e manifestato il suo rifiuto di governare veramente la Chiesa, e cessa così di essere – giuridicamente – non il Papa, che non è mai stato, ma l’eletto del conclave e l’occupante materiale della Sede Apostolica.

Nella già drammatica situazione della Chiesa, il gesto odierno indebolisce ancora di più la barca apostolica scossa dalla tempesta. È vero infatti che questo gesto riconosce l’incapacità e la non volontà di Ratzinger di governare la Chiesa, ma è vero anche che porta a compimento, come detto, la disciplina conciliare di discredito della gerarchia ecclesiastica. Solo l’elezione di un vero Successore di Pietro potrebbe porre fine a questa crisi di autorità, ma la composizione del corpo elettorale lascia presagire – a vista umana – che la notte sarà ancora più fonda, e l’alba ancora lontana. Che Dio ci assista, con l’intercessione di Maria Santissima, e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

 

Verrua Savoia 11 febbraio 2013